Logo di Firenze: più principi e meno coolness.

Né voglio sia reputata presunzione se uno uomo di basso et infimo stato ardisce discorrere e regolare e’ governi de’ principi; perché, cosí come coloro che disegnono e’ paesi si pongano bassi nel piano a considerare la natura de’ monti e de’ luoghi alti, e per considerare quella de’ bassi si pongano alto sopra monti, similmente, a conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe, et a conoscere bene quella de’ principi, bisogna essere populare.

Firenze ha scelto di utilizzare la “community creativa” Zooppa per trovare il nuovo logo.
Chi vince verrà pagato 15 mila euro.
Chi perde non manterrà nemmeno i diritti sul proprio lavoro presentato (leggetevi il regolamento, mi raccomando).

Alcuni la ritengono una grande opportunità per tutti, una scelta democratica.
Così chiunque potrà partecipare, anche quegli studi e quelle piccole agenzie che di solito sono escluse.
Pure i freelance avranno l’occasione per mostrare che possono farcela da soli.
Basta con la casta dei creativi famosi che si accaparrano i lavori.

Suona tutto così meravigliosamente democratico.

Nella migliore delle ipotesi è un’inconsapevole presa per il cool.
Con cool voglio indicare, in questo caso, quell’aura di sexiness con cui si patina di democrazia
l’ormai lunga nouvelle vague di non pagare il lavoro creativo.

Perché è questa la questione che ho posto. Creare un logo è un lavoro.
Chi non è d’accordo su questo fatto è ignorante (rimediabile) o in cattiva fede.
E il lavoro deve essere sempre pagato. Lo scrive la nostra Costituzione. È enunciato in modo molto chiaro, non ci sono possibilità di fraintendimento.

Ogni volta che una Pubblica Amministrazione indice una gara non remunerata per la progettazione di un logo (ma anche di altre attività di comunicazione)
tradisce almeno due articoli della nostra Costituzione (1 e 36) e crea un grosso danno a un’intera industry.
Se la Pubblica Amministrazione non paga il lavoro perché dovrebbero farlo le aziende private?
L’effetto a catena innescato da questa pessima pratica sta distruggendo la nostra industry. Non la crisi iniziata nel 2008.

Chi ciarla di casta dei creativi è rimasto agli anni ’80 del secolo scorso
e non ha letto nessuno di questi due post di denuncia (che prospettive offriamo ai giovani e figli di un io minore).

Chi parla di concorso democratico dimentica o non conosce:

1. il tempo e le competenze necessarie per fare un logo
2. i già citati articoli della costituzione 1 e 36
3. che Zooppa è proprietà di una holding, WPP, che in Italia gestisce già il 50% del mercato pubblicitario.
(Rettifica: In realtà Zooppa è una ramificazione di H-Farm, incubatore di imprese hi-tech, fondato da Roberto Donadon insieme a Maurizio Rossi.
H-Farm ha ceduto H-Art, NON Zooppa, a Wpp)

In ogni caso, se in Italia c’è una casta è tutto fuorché creativa.
La casta non è nemmeno italiana e i soldi restano solo in parte in Italia.

Vorrei sapere, e spero di avere una risposta: qual è il compenso ricevuto da Zooppa per questo contest?
I premi messi in palio da Zooppa che quota rappresentano sul compenso richiesto ai committenti?

Lavorare gratis a un contest come questo non è una grande opportunità per il professionista.
Al massimo è una minima probabilità di vincere 15 mila euro lordi.

Non sono fiorentino. Non è un mio problema se il logo scelto sarà bello o brutto. Infatti NON ho toccato l’argomento.

Ma è un grosso problema di tutta la comunità creativa italiana se una Pubblica Amministrazione descrive come scelta democratica non pagare il lavoro creativo.

Ci sono modi migliori per gestire un progetto come questo?
Certo. Il primo passo è ricordarsi di stabilire un gettone, un rimborso minimo per chi parteciperà. Il secondo passo è coinvolgere associazioni di professionisti per mettere a punto metodologia e commissioni competenti (ricordate lo “SFACELO ROMANO“?).
Adci e Aiap hanno le caratteristiche ideali per aiutare le Pubbliche Amministrazioni serie in un contest come questo.

Restringere la rosa dei candidati, per pagare ai perdenti un rimborso, è la vera scelta democratica. Anche se forse suona meno cool, meno WEB 2.0.
Significa dedicare il giusto tempo e attenzione ai lavori presentati. Significa “ti rispetto”.

Ora non intasate il post di stupidaggini sul libero mercato. Non straparlatemi di “libera concorrenza”, soprattutto non usate a sproposito il termine libertà.
Non c’è nessuna libertà se non c’è indipendenza economica. E l’indipendenza economica viene dal lavoro pagato, non dal dire:
“ma quanto sono figo, faccio il designer e partecipo al concorso Zooppa per il logo di Firenze.”

Se non siete d’accordo usate la vostra vis polemica e il vostro eloquio per fare riscrivere la Costituzione.

Perché possiamo anche decidere di cambiare le regole del gioco, ma ufficializziamolo. Almeno giocheremo tutti di conseguenza. Al libero massacro.
E i creativi, le persone capaci di produrre contenuti, idee e pensiero, saranno quelli che perderanno. Stanno già perdendo.
Passata la coolness restano i conti da pagare.

Firenze affonda le sue radici nella Creatività (la c maiuscola è d’obbligo). Creatività riconosciuta come valore e quindi remunerata.
Tradire questa heritage sarebbe un pessimo primo passo nello studio del nuovo logo della città.

Capisco che un Sindaco e un Assessore possano ignorare (o conoscere superficialmente) determinati meccanismi economici nel mercato della comunicazione. Persino molti creativi li ignorano.

Ma c’è ancora tempo per cambiare.

Far cadere dall’alto la borsa con i 15 mila euro (lordi) non è un cambiamento. Mi rammenta atteggiamenti medievali più che il Rinascimento avviato proprio dai Principi fiorentini.

Nota:
per quanto riguarda gli azionisti di H-Farm, l’incubatore che possiede tra le altre anche Zooppa, questo è quanto ho trovato nell’archivio storico del corriere della sera, in data 18 luglio 2011:

L’ ultimo a essere entrato nel salotto virtuale di H-Farm è stato Renzo Rosso. Per diventare il socio numero due, dopo il fondatore Riccardo Donadon, di quest’ azienda che promuove imprese web, il patron di Diesel ha sottoscritto un aumento di capitale e ha comperato azioni. Prima di lui nella «fattoria della conoscenza», come si definisce l’ incubatore, avevano fatto il loro ingresso altri nomi nobili dell’ imprenditoria italiana da Luca Marzotto (Zignago Vetro) a Nicola Riello (Riello Investimenti), a Giancarlo Zoppas, al co-fondatore Maurizio Rossi (figlio dell’ imprenditore delle calzature Luigi), a Lauro Buoro (Nice), Thomas Panto (T-Vision) e Andrea Bosio (Telsey).

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