Postato il Ven 24 Dic 2021 da in AD MaioraHeritageLa vita del Club

Un altro Natale

AD Maiora
di Emmanuel Grossi

Nella seconda metà del Novecento, prima che tutto si afflosciasse e ridimensionasse, la televisione – e per osmosi la pubblicità in televisione – era molto “stagionale”: teatri di posa, studi e set (e con essi gli schermi) in estate si popolavano di spiagge, palme, tramonti sul mare e bikini, in primavera (soprattutto sotto Pasqua) di uova colorate, cinguettii, ciliegi in fiore e praticelli… e in prossimità del Natale esplodevano (o implodevano?) di neve regali bambini bollicine cattedrali parenti orpelli montagne maglioni orde di Babbi Natale e fiumi di creme, cioccolate, canditi, glasse e zuccheri a velo.

Dall’iconico abete di giovani-canterini-con-candele per Coca Cola (McCann Erickson) alla longeva serie “Ma chi sono io, Babbo Natale?Bistefani con Renzo Rinaldi e Stefano Gragnani (Testa), che sarebbe rimasta fortemente connotata anche perdendo il suo carattere di “stagionalità”, giù giù fino ai promozionali più frusti, la miscela deflagrante tredicesima-Natale-Capodanno (l’Epifania era prevalentemente appannaggio dei romani e della Lotteria Italia) mandava in fibrillazione qualsiasi ufficio marketing e reparto d’agenzia. Tutti sentivano il dovere morale di uscire con uno o più spot a tema. Anche se producevano fruttini, saponette, serramenti e passamanerie.


Un tempo si insegnava che il prodotto dovrebbe sempre essere The Hero, il fulcro attorno al quale ruota l’intera vicenda (e ciò a prescindere dal numero di citazioni e dall’invadenza del packaging, le grandi campagne Nike con solo lo sbaffo in un angolo ne sono la riprova). E il Natale semplificava tutto: in un modo o nell’altro si riusciva quasi sempre a rendere centrale il prodotto, o quantomeno a ben ambientarlo e contestualizzarlo. Talvolta però si raggiungeva un livello differente, andando più in profondità, pensando fuori dagli schemi o brillando per ingegno e acume.



A Carosello (1957-1977) la centralità del prodotto era pura utopia: la ferrea normativa RAI vietava categoricamente, all’interno dello “spettacolino”, qualsiasi riferimento al brand, confinato nel breve “codino” pubblicitario. Eppure alcuni bravi copywriter, scriptwriter e sceneggiatori riuscirono pian piano a creare una certa omogeneità fra le due parti (uno dei primi a “teorizzarla” fu Luigi Montaini Anelli, direttore creativo in CPV e in Troost e in seguito regista e produttore).

Così, tra fine anni Sessanta e primi Settanta vanno in onda alcune serie per Cinzano (ovviamente in bianconero), dirette perlopiù da Ermanno Olmi, che narrano le “vigilie festive” di vari lavoratori: ad esempio, l’ultimo viaggio di un pilota d’aerei prima di ricongiungersi alla famiglia per il cenone (tra l’altro, non una parola per 2’10”, a fare da corredo alle immagini è solo Odessa dei Bee Gees fino al payoff “C’è più aria di Natale se brindi Asti Cinzano“). Per carità, niente di nuovo: è il medesimo trattamento socio-filmico che Olmi adottava nei propri lungometraggi e in quasi tutte le pubblicità (qualche anno dopo avrebbe narrato il lavoro notturno di tipografi e netturbini, concludendo all’alba con una tazza di tè Ati), ma per Carosello era un bel ribaltamento di prospettiva.

A metà anni Settanta prova a inserirsi in quella scia Bauli (ma la mano sembra di Gillo Pontecorvo), che mostra l’ultimo dell’anno, silenzioso, solitario e invero deprimente, di un attempato guardiano del faro… fino all’incursione a sorpresa di un gruppo di ragazzotti che gli rallegrano la cabina con un po’ di festoni (segue tremendo codino didascalico sull’importanza del pandoro).


Ma ad unificare l’Italia, oltre alla televisione, ha provveduto in larga parte anche il telefono. A fine decennio, nella nuova era dell’advertising tout court e a colori, la SIP (con McCann Erickson) vara la lunga serie Il telefono, la tua voce. E lo ribadisce viepiù sotto le feste, con parenti e amici lontani. Lontani anche i tempi, quando la “voce” era quella di Ferruccio Amendola e coi telefoni ci parlavi e basta, magari sfidando la neve per andare alla cabina (rigorosamente gialla) con una saccocciata di gettoni per la teleselezione.



Le festività non sono però solo buoni sentimenti e groppi in gola. E in tanti provano a sparigliare le carte o a buttarla sull’ironia (altri ancora, più beceramente in caciara).

Perfino a Babbo Natale viene concesso qualche “fuori programma”: nel 1982 TBWA lo fa attardarsi ad acquistare giocattoli in un supermercato COOP… gestito dal proprio doppio (determinanti le atmosfere magiche evocate dal regista Francesco Barilli, imbattibile in questo tipo di short); CGSS lo lascia invece chiuso fuori dalla porta di casa del tale a cui ha recapitato un pacco dono ma che si mostra interessato solo ad appropriarsi della penna allungatagli per firmare la ricevuta (d’altronde, “Quando c’è un’Aurora di mezzo, qualsiasi altro regalo passa inosservato“). Nessuna consegna a mano, dunque: meglio spedire. Se poi allo sportello di Poste Italiane c’è Maria Grazia Cucinotta, è intuibile che Babbo Natale voglia trascorrere lì tutta la Vigilia del 1995, per inviare comodamente le varie strenne nel mondo (ancora Barilli). La procedura è giusto un filino lunga: uscendo dall’ufficio si incrocia con la Befana…


A proposito di regali: anche districarsi tra carte lucide, fiocchi e pacchettini è un bell’impegno! Ben lo sa Marisa Laurito, che dopo essere apparsa in decine di commercial Voiello (RSCG MCM, 1987) taglia corto: di pastasciutta tornerà a parlare con calma dopo le feste, mò tène che ffà, auguri a tutti e ciao!



L’importante è comunque non tradire le aspettative: nei primi anni Novanta è ancora RSCG MCM a sposare la nobile causa “A Natale regalate Moulinex, non cucù“, per evitare cocenti delusioni a tutti coloro che, con il brillìo negli occhi, si aspettavano robot da cucina e ferri da stiro e restano travolti da quei diabolici trabiccoli. Con un elettrodomestico, quale che sia, vai invece sempre sul sicuro; lo sostiene anche il Babbo Natale della Canard: tra i prodotti Rex e quelli delle altre marche non c’è alcuna differenza. “Perché a Natale – ma solo a Natale! – sono tutti buoni“.

E se qualcosa dovesse proprio andare storto, che so, i Re Magi si spazzolano i dolciumi Sperlari che avrebbero dovuto portare in dono a Gesù Bambino… si può sempre rimediare con il più classico dei presenti: “Un mazzo di fiori!“.