CANNES 2015. La lotteria della long list e l’ipocrisia dei brand.
E dopo un bel po’ di esperienza in varie giurie in giro per il mondo è arrivata anche quella di Cannes.
Tre settimane di pregiuria online. Quattro giorni di giuria live per la long list, 22 giurati separati in 5 gruppi diversi. Un giorno per definire la short list. Sedici ore per assegnare i leoni e il grand prix.
Su più di 3.300 lavori iscritti, in shortlist è passato circa il 10%, e sono stati convertiti in leoni quasi il 5% del totale. Risultati e iscrizioni che sono nella media annuale, ma a pensarci bene, alla fine dei conti un singolo giurato ha visto non più del 25-30% dei lavori totali. Tutta questa matematica per dire che Cannes può davvero essere una lotteria; sono sicuro che un sacco di progetti interessanti e di valore si possono perdere tranquillamente per strada, vuoi per sfortuna, vuoi per mancate coincidenze, vuoi per disattenzione.
Quindi che fare per limitare questo rischio? Prima di tutto iscrivere lavori che hanno già un credito perché pubblicati sui blogs o se già vincitori di altri festival di pubblicità.
Aiuta anche una case history fatta bene, soprattutto nei primi 10 secondi, una case che sia di intrattenimento e fresca, perché a volte i giurati sono stanchi o distratti o non conoscono bene l’inglese, per cui avere i sottotitoli oltre che uno speaker è una buona mossa. Conviene poi fare case history diverse in base alle sottocategorie e avere i dati collegati a quella categoria sia in intro che in chiusura. Inoltre i board difficilmente hanno peso, meglio poche informazioni e font bold su fondo bianco, perché la proiezione e la distanza non aiutano la leggibilità.
Parlando invece dei progetti premiati voglio fare una considerazione un po’ cinica. Si sa che i lavori più belli, toccanti e interessanti sono quelli sociali, infatti hanno un grand prix tutto loro: il grand prix for good. Ma cosa succede quando sono gli stessi brand a essere portatori di messaggi socialmente utili? Non è un caso che il grand prix se lo sono contesi Nivea doll, Volvo lifepaint, Proud whooper di Burger King. Tutti progetti che sposano direttamente una causa, rispettivamente: la lotta al cancro della pelle, la sicurezza stradale, l’omofobia. Qualcuno mi ha detto che ogni anno per un paio di settimane le favela brasiliane sono visitate da giovani pubblicitari che girano materiale video, e poi non si vedono fino all’anno prossimo.
Creatività ipocrita o trend di awareness ormai consolidato? Qualsiasi sia la risposta forse dovrebbero avere una categoria a parte e lasciar gareggiare operazioni che vendono i prodotti per quelli che sono.