Effetto stereotipo: la rivalsa degli esclusi
Oggi chi crea una comunicazione che ricalca i soliti stereotipi e luoghi comuni mette a rischio la sua reputazione: ce lo racconta il lavoro di tesi di Federica Gentile.
“La perfezione non esiste.
So di non dire una grande novità.
Ma io lo voglio gridare.
Magari l’avessero detto prima a me”.
Queste sono le parole del monologo sulla bellezza dell’imperfezione recitato da Vanessa Incontrada nella trasmissione “20 anni che siamo italiani“, e in questa semplice frase è racchiuso un grande pensiero. E io sono Federica, sono italiana ma non sono bianca, sono mulatta. No, non sono nata in Italia, sono nata in Colombia. No, né mio padre né mia madre sono colombiani. Sono semplicemente una ragazza adottata. Spesso sono costretta a rispondere a domande di questo tipo, ma la cosa peggiore sono le risposte: “Oh no, scusa non volevo.” oppure “Ah che bello! Come ti trovi in Italia?” o anche “Ti trovi bene coi tuoi genitori?”.
Con domande come queste ci convivo da 22 anni e ormai non ci faccio neanche più caso, anche se in realtà non le ho mai considerate strane perché probabilmente anche io, fossi stata dall’altra parte, l’avrei vista come una cosa strana.
Da piccola quando ero a scuola desideravo soltanto somigliare alle mie compagne di classe, mentre invece quando tornavo a casa volevo diventare come le star di Disney Channel che non erano molto diverse dalle bambine che vedevo in giro, ma erano diverse da me. Tutte coi capelli lunghi e lisci, i jeans stretti perfettamente aderenti ai corpicini minuti da Barbie. E poi c’ero io, che guardandomi nell’insieme ero come un pugno nell’occhio: un cespuglio di capelli afro che ho prontamente reso lisci attraverso trattamenti chimici, un corpo alto e robusto che ho sempre criticato severamente, costringendomi a diete e intensi allenamenti e molta ma molta frustrazione.
Ho sprecato un sacco di tempo (per non parlare dei soldi) cercando di inseguire quel modello di perfezione imposto dalla società, fin da quando ero bambina. Mi sentivo esclusa e ogni cosa che vedevo mi dava la conferma di essere diversa.
Ho dedicato la mia tesi Sfida agli stereotipi. Cambiamento e inclusione nel casting pubblicitario a tutte quelle persone che si sono sentite escluse dalle rappresentazioni, proprio come me. I miei studi universitari mi hanno avvicinata all’universo della pubblicità. Affrontando diverse casistiche sono rimasta colpita dalla famosa campagna di Dove, che aveva messo in luce l’insoddisfazione delle donne per i modelli di bellezza inarrivabili imposti dalla società. Studiando questa tematica, che non mi lascia indifferente, da una prospettiva tanto di consumatrice quanto personale, ho avvertito in questi anni un cambiamento che mi ha lasciata stupefatta.
Stavo camminando per strada, ero quasi arrivata a casa quando i miei occhi si sono posati su un cartellone pubblicitario della pensilina di un autobus. Vi erano rappresentati i visi di una donna e di una bambina, probabilmente mamma e figlia, dai tratti cubani, con dei bei capelli ricci. La pubblicità riguardava una crema viso idratante, e non so per quale motivo mi ha lasciato così positivamente sorpresa. In quel periodo stavo appunto cercando quale potesse essere il mio argomento di tesi e volevo qualcosa di appassionante, che mi coinvolgesse e soprattutto che mi rappresentasse. E in quel momento le mie idee non potevano essere più chiare.
Ho parlato della mia tesi a tante persone, amici e famigliari. Ogni volta ne è nata una conversazione interessante da cui ho potuto prendere spunto per ampliare i temi riguardanti l’influenza che ha la pubblicità sulle persone, il recente cambiamento dei modelli di bellezza ed i casi più rilevanti di pubblicità inclusiva. Ho avuto a disposizione molto materiale per le mie ricerche, mi sono arrivate continuamente nuovi spunti e nuove casistiche interessanti e purtroppo non ho potuto includerli tutti. Ma è proprio questo aspetto che dà validità alla mia tesi: siamo in un periodo di cambiamento nel quale le persone non si rispecchiano più nelle solite rappresentazioni, e se prima era raro imbattersi in una pubblicità che andava contro lo stereotipo, oggi chi crea una comunicazione che ricalca i soliti stereotipi e luoghi comuni viene fortemente criticato e la sua reputazione rischia di essere macchiata per sempre.
In questo mi è stato prezioso l’aiuto di Equal che mi ha permesso di scoprire l’ambiente italiano dell’inclusione, sfatando i miei pregiudizi che immaginavano un panorama diffuso solamente all’estero. Sono stata confortata dal sapere che anche in Italia si iniziava a mettere in discussione il paradigma tradizionale, a presentare nuovi modelli fino ad allora tenuti in disparte. Per la prima volta ho sentito di non trovarmi in una situazione di esclusione ed estraneità. Ho iniziato a vedere le mie differenze come valori, a percepire la mia peculiarità come qualcosa degno di esistere senza il bisogno di conformarsi.
Questa è la rivalsa degli esclusi, ed è un’occasione per le aziende di reinventarsi utilizzando un approccio più etico e innovativo, capace di creare nuove narrazioni e di distinguersi dalla massa. È arrivata l’ora di cambiare e di aprire le porte all’inclusività.
Riguardo all’autrice
Federica Gentile è la penna che ci ha regalato questo scorcio sulle sue ricerche e la sua tesi di laurea. L’immagine di copertina viene da Unsplash, ed è opera del fotografo Miguel Bruna.
Cos’è Equal
Equal è il programma di divulgazione culturale di ADCI che si occupa dell’educazione e della formazione inerenti le pratiche della comunicazione inclusiva. Nasce nel 2017 come premio speciale all’interno degli ADCI Awards, e oggi è un sistema a tutto tondo che coinvolge scuole, Istituzioni e operatori del settore in progetti concreti per la definizione e l’attuazione di standard inclusivi all’interno delle comunicazioni pubblicitarie, per esempio nei casting.
Tags: comunicazione inclusiva, Equal, featured, gentile