Postato il Gio 24 Set 2020 da in EqualLa vita del Club

Armine Harutyunyan, ovvero l’affermazione estetica della diversità.

di Claudia D’Angelo.

In occasione del grande dibattito suscitato dai media sul caso della modella Armine Harutyunyan, ADCI ha scelto di confrontarsi con alcune personalità trasversali a diversi mondi per approfondire il tema dei codici estetici nelle rappresentazioni visive.

Il dibattito portato avanti all’interno del progetto Equal e Cast the inclusion, vede come quinto intervento quello di Claudia D’angelo: Archive manager di un importante archivio di Textile design, è stata responsabile dell’archivio di Aeffe Fashion Group, di cui ha curato la prima costituzione. Storica dell’arte contemporanea di formazione, orienta le sue ricerche intorno ai legami tra arti visive e moda e sugli archivi delle imprese moda.

Nel suo articolo analizza il caso Gucci dal punto di vista della moda.

Stereotipi, pregiudizi, presunti canoni di bellezza sono i lacci che da sempre imbrigliano le vite delle donne. Ostacoli che sono le donne a creare per sé e, sempre più spesso, a proiettare sugli altri. Sono probabilmente queste le premesse per comprendere la vicenda che ha investito — è il caso di dire — la modella armena Armine Harutyunyan, rea di essere stata scelta dalla Maison Gucci come indossatrice in uno dei suoi fashion show. A dimostrazione di come, negli spettacoli della moda, ci sia posto solo per la bellezza consacrata, il presunto canone che costringe tutte noi a voler essere sempre qualcosa di diverso da noi stesse. Nota bene: femminile, plurale.

É sulla scorta di questo preciso sentire comune che si è scatenata sui social la straordinaria violenza verbale indirizzata ai tratti irregolari di questa ragazza. Un accanimento che è pervenuto in misura rilevante dagli occhi delle donne, evidentemente costrette ad ammettere pubblicamente quanto sia difficile addentrarsi nella comprensione di categorie estetiche secolari, come il brutto, il freak, lo strambo: in una parola nella diversità. 

Proprio questa è la chiave per intendere anche la più generale strategia di posizionamento mediatico messa in atto da Alessandro Michele alla guida di Gucci, un preciso percorso di capillare decostruzione delle regole di rappresentazione imposte dall’industria della moda nel secolo scorso: The Ritual, l’ultima campagna pubblicitaria affidata alla sfera personale e alle attitudini dei protagonisti, Epilogue, la sfilata-backstage trasmessa in un lungo streaming della durata di 12 ore — che non a caso ha un titolo che allude alla fine di un’era e al contempo a un nuovo inizio — e, infine, la scelta di modelli dai tratti quantomeno singolari, che sfuggono ai criteri dei casting più collaudati, sono tutti percorsi pensati a lungo termine per smantellare aspettative e suggerire la difformità come valore. Una rivoluzione nel mondo del lusso, soprattutto se accompagnata a scelte stilistiche che affondano nel passato, rendendolo attuale e desiderabile, in una sorta di reiterata retrolution.

Non credo alla lettura del “purché se ne parli”, credo piuttosto che gli artisti di ogni tempo — Michele è di fatto direttore artistico, non già solo stilista, della Maison di origine toscana — siano chiamati a raccontare la società con ogni mezzo a loro disposizione, leggendo e captando prima di altri inclinazioni estetiche e novità. Queste, spesso dirompenti, saranno poi recepite dal pubblico e dalle generazioni a venire attraverso un lungo periodo di normalizzazione*: un lasso di tempo utile ad ogni ambito della società per riflettere sul cambio di passo e assorbirlo nella quotidianità. Con questo, non si intende che un brand come Gucci, seppur autorevole nel suo contesto, possa essere in grado di dettare alla lunga l’agenda estetica dell’occidente, ma che la scelta di Armine sia il sintomo di una precisa volontà di evasione da regole e canoni estetici troppo saldamente assodati in favore di una bellezza ideale che si alimenta anche di normalità. Ecco, è qui, tra le pieghe della consuetudine che si insinua, anche in noi donne, il pregiudizio, spingendoci ad emettere sentenze, a decretare prematuramente successi e insuccessi, a scagliarci contro il profilo irregolare di una ragazza con l’unico obiettivo di rassicurare noi stesse.”Minuzioso esperimento di neorealismo magico dall’esito aperto”, così Gucci chiosa i suoi ultimi progetti pubblicitari.** Non sarà un caso se la presenza in passerella di Armine Harutyunyan, durante la Fashion Week dello scorso anno, sia stata recepita negli stessi termini: una scelta ben precisa, ma dalle conseguenze decisamente inaspettate.

* Sul concetto di normalizzazione nell’arte vedi R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 59.

** Il riferimento è all’ultima campagna pubblicitaria di Gucci, The Ritual.