Sabato è mancata Mary Wells Lawrence.
di Till Neuburg
Sabato 11 maggio, ci ha lasciato un’ispiratrice e istigatrice creativa che tutti i lettori di queste righe potrebbero omaggiare con un fragoroso minuto di silenzio (battito di un cuoricino rosso compreso).
Nata Mary Georgene Berg nell’anno della prima trasvolata atlantica solitaria di Amelia Earhart e della scoperta della Penicillina da parte di Alexander Fleming, i due cognomi Wells e Lawrence li avrebbe acquisiti sposando e divorziando (per due volte) l’industrial designer Bert Wells e, in terze nozze, il presidente-cliente della compagnia aerea Braniff,
Harding Lawrence.
Arcinota (non solo nel mondo della pubblicità ma in quello della comunicazione innovativa tout-court) come Mary Wells Lawrence, tra pochi giorni la nostra venerata collega avrebbe compiuto 96 anni – dei quali un’ottima e abbondante metà li aveva dedicati al copywriting, al management e alle strategie di una prestigiosa serie di aziende e agenzie che hanno tutte valorizzato la storia della creatività.
Nel rude rodeo delle donne che nella seconda metà del Novecento statunitense non si facevano disarcionare nemmeno dal carrierismo maschile più aggressivo e WASP, la ex studentessa del Carnegie Institute of Technology di Pittsburg, si era da subito fatta valere nel ristretto cerchio magico delle pioniere della creatività… tutte toste, sveglie e coraggiose come Marcia Bell, Carol Anne Fine, Paula Greene, Shirley Polikoff, Nancy Rice, Phyllis Robinson, Diane Rothschild, Jane Trahey… e la loro headhunter newyorkese Judy Wald.
Tra le sigle che hanno beneficiato dell’indelebile imprinting di questa autentica forza della controcultura di Madison Avenue, c’erano Macy’s, McCann-Erickson, Doyle Dane Bernbach, Jack Tinker & Partners e infine la “sua” mitica Wells Rich Greene, diventando presto non solo la creativa più famosa in tutto il pianeta – ma con uno stipendio allora astronomico di 300.000 dollari all’anno – anche la più pagata. Inoltre, a furia di acquistare (e vendere) nei decenni della sua lunga carriera innumerevoli ville, mansion, attici, tenute e yacht, a Cap-Ferrat, nel quartiere Belgravia di Londra, ad Acapulco, nella Park Avenue di NYC, all’isolotto Mustique nelle Antille… e in chi sa quante altre dimore della upperclass, in una delle ultime interviste la Wells ha candidamente ammesso che, without any doubt, come broker immobiliare a tempo pieno avrebbe facilmente potuto superare gli introiti della sua luminosa carriera nell’advertising – nonostante il botto finale di quando nel 1990 sua agenzia fu venduta per 160 milioni di dollari al network francese BDDP che l’avrebbe trasformata – questa volta, évidemment et sans doute – nel personaggio pubblicitario in assoluto più facoltoso del mondo.
Quando alla Tinker (la quale più che un’agenzia a servizio completo, era una sorta di think tank creativo della McCann che operava da un appartamento nel Dorset Hotel), le sue la campagne per la Alka-Seltzer e la Braniff erano diventate talmente prorompenti che il mitico guru dell’agenzia multinazionale nonché creatore della Interpublic (la prima holding pubblicitaria del pianeta), Marion Harper, le aveva fatto un’offerta alla Mario Puzo che lei, semplicemente, “non avrebbe potuto rifiutare”: un milione tondo di dollari di stipendio annuale e piena autonomia e indipendenza di gestione. Però, c’era un piccolo però: il titolo di presidente della nuova agenzia avrebbe dovuto assumerlo un uomo perché secondo lui “It is not my fault, Mary – the world is not ready for women presidents”. La furiosa reazione della più celebrata creativa versus il manager più temuto dell’epoca, culminò in un sonoro sbattimento di porta da parte di lei, mentre la controparte maschile rimase sprofondato nella sua sontuosa poltrona imperiale e, ormai solo e abbandonato, continuò a sbofonchiare il suo solito ma inutile mantra di benefit, bonus e di palate di bucks.
Prima e dopo quello scontro epocale, ci sono stati altri due uomini che con lei “ci avevano provato”. Il primo era stato nientemeno colui che per primo aveva capito di che stoffa (allo stesso tempo ruvida, lucida e seducente), era fatta Mary Wells: nel 1974 Bill Bernbach di persona le aveva proposto di prendere in mano il controllo della “sua” DDB, ma lei non se la sentiva di farsi sedurre perché la vicinanza di un padre-padrino talmente ingombrante non le avrebbe mai consentito di spiccare il volo come aquila – ovviamente dominante, solitaria e reale – tra gli Ottomila che allora svettavano nel Himalaya della creatività.
Parecchi anni dopo (in tempi molto più che sospetti, quando il cinico marpione del futuro impero WPP, Martin Sorrell, era ancora il mago della finanza della sua agenzia), Maurice Saatchi le propose di riunire la potenza di fuoco, sia finanziaria che politica e creativa, della Saatchi & Saatchi e della WRG – con lei, ovviamente, anche come capo supremo della creatività. Ma pure questo petting tra titani non produsse nessuna alleanza – né sacrosanta né transatlantica né infernale… e tantomeno alle Borse della City e di Wall Street.
Ciò che invece la lega per sempre alla storia della Stock Exchange di New York, è il fatto che la sua WRG sarebbe diventata la prima agenzia statunitense a essere quotata in Borsa.
Oltre all’onore di essere stata la prima donna a diventare la presidente di un’agenzia americana di pubblicità, di venire eletta come il membro più giovane nella Hall of Fame del Copyclub e di aver ricevuto la Targa d’Oro 1969 dell’American Academy of Achievement… appena quattro anni fa (a oltre 91 anni!), Wells Lawrence ha ricevuto, come prima donna, il più prestigioso premio dei Cannes Lions: il Leone di San Marco alla carriera.
Concludo questa rassegna forzatamente molto selettiva e parziale, con una campagna WRG che nel mezzo secolo dal suo esordio continua imperterrita a sedurre milioni di cittadini – non solo americani:
Negli anni ’70, la città delle Nazioni Unite, di Broadway, della pop-art, del Madison Square Garden e di Central Park, visse un declino civico, della sicurezza e dei servizi sociali, spaventoso. Non trovando né le risorse finanziarie né i rimedi tecnici e istituzionali per combattere il degrado della città, nel 1976 l’amministrazione metropolitana coinvolse Wells Lawrence per trovare una via d’uscita da quell’umiliante problema, la quale si convinse subito che con una campagna pubblicitaria tradizionale (anche se di cospicua entità), non ce l’avrebbe mai fatta a riassegnare alla Grande Mela l’immagine turistica, sociale e culturale che avrebbe meritato. Consapevole del fatto che ci voleva “qualcosa d’altro”, propose un business lunch a Milton Glaser, allora il più apprezzato graphic designer di New York. Dopo avergli delineato i contorni strategici del problema, lo riaccompagnò con un taxi nella sede dei suoi gloriosi Push Pin Studios. Quando si congedarono, lui le allungò un tovagliolo di carta portato via dal ristorante sul quale aveva schizzato uno scarabocchio che da lì a poco avrebbe rivoluzionato nientemeno che la storia dell’advertising sociale e del graphic design:
© Till Neuburg
Storico della comunicazione