È fake o è R&D?
Caro Giovanni,
derogo al mio proposito di astenermi per sempre dalle polemiche via web perché sento la necessità di fare nuovamente un punto su questa eterna querelle. E perché ti stimo.
1. I premi dell’Art Directors Club non sono concorsi pubblici che assegnano posti di lavoro. Garantiscono a chi li vince nient’altro che un momento di esposizione alla propria comunità professionale. Premi vinti ripetutamente possono aiutare a creare reputazione di bravi professionisti, purché connessi ad altrettanto ripetuti successi sul campo. I premi dell’Adci servono – come in ogni festival – a indicare una strada, a definire criteri comuni di eccellenza.
Le regole di ammissione sono scritte per garantire una certa equità tra i gareggianti, ma anche per fare in modo che la creatività, anche quando è un po’ border line, o è ancora un segnale debole, sia intercettata e segnalata. Siamo creativi, non ragionieri, e siamo pronti ad accettare che la soluzione giusta arrivi da dove non ce la aspettiamo.
2. I fake. Ho scritto un pezzo anni fa sui fake. Allora come adesso ritengo che il problema sia culturale, non di polizia. Detesto la pratica di usare soldi veri di clienti veri per produrre campagne finte per audience finte. Anche perché nel 99% dei casi si tratta di annunci scemi. Né brutti, né scorretti. Proprio scemi. Non si rivolgono al target, parlano della categoria merceologica senza alcun differenziale di marca, non contengono innovazione sostanziale. Se fossero correttamente pianificati non farebbero bene alla marca né aumenterebbero le vendite. Il danno più grande prodotto da questa pratica è che indica ai giovani creativi una strada sbagliata: le campagne belle si possono fare solo così, mentre quelle vere si fanno con la mano sinistra, tanto non c’è niente da fare. Non è vero. Le campagne vere possono essere belle. Solo che si deve essere parecchio più bravi. Non solo: anche le campagne finte – che d’ora in poi chiamerò “ad hoc”, possono essere belle. Ma anche qui ci vuole tanta fatica e tanto talento in più.
3. E se fosse R&D? Tutte le aziende hanno reparti R&D. Sarebbe sensato che i reparti creativi delle agenzie di pubblicità fossero anche dei luoghi di ricerca e sviluppo. Se da questa attività giustamente finanziata dagli azionisti dell’agenzia, uscissero dei prototipi cui viene data la pianificazione minima per essere sottoposti al giudizio di un festival, sarebbe cosa buona e giusta.
Quindi a mio avviso una regola di ammissibilità nel CFE deve prevedere anche questo caso virtuoso.
4. La fiducia e la responsabilità. Questo consiglio ha scelto di costruire le giurie col metodo della trasparenza e della responsabilità. Ogni giuria è composta da soci, e un club ha un unico azionista cui rispondere: i suoi soci. Se le campagne iscritte rispettano formalmente le regole, e le giurie fanno la loro selezione all’interno di quelle regole, questa selezione non può essere messa formalmente in discussione da nessuno.
Può creare dibattito, e questo è sano. Le regole prevedono che i soci possano contestare un lavoro selezionato o premiato entro due settimane dalla pubblicazione delle shortlist sul sito. Il consiglio sta facendo gli accertamenti necessari a rispondere alle segnalazioni.
5. Non solo Durex. Non è la sola campagna con requisiti di operazione “ad hoc”. Ogni giuria ha usato con discrezionalità i criteri di selezione. Per esempio, c’è una giuria che ha deciso di considerare i lavori autopromozionali un po’ meno meritevoli degli altri perché facilitati dall’assenza di controparte. Io concordo. Ma non c’è scritto da nessuna parte e se avessero voluto adottare un criterio diverso avrebbero potuto farlo.
Ci sono giurie che possono mettere in cima ai propri criteri la fatica che si fa per raggiungere un obiettivo vero, e altre che possono premiare la genialità, anche quando si fa strada forzando un po’ le regole.
Ecco, ci vorrebbe prima la genialità, poi, magari, la sregolatezza. Questo sarebbe decisamente un buon criterio.
5. L’obiettivo. Per concludere, Giovanni, io e te abbiamo obiettivi differenti: a te interessa definire regole rigidissime che mettano tutti i concorrenti in condizioni di partenza oggettivamente identiche.
A me interessa far progredire la cultura creativa attraverso la condivisione dei criteri di eccellenza, il confronto e il rispetto della differenza, l’accettazione divertita della provocazione, l’abbassamento dei livelli dell’invidia cattiva e l’innalzamento dei livelli della reciproca ammirazione.