“Fake” nei premi. La strettoia delle regole
“C’è da fare un annuncio sul Corriere della Sera”
“Ok. Che formato?”
“Non preoccuparti del formato, prima pensa all’annuncio.”
“Ma che formato è? Quattro moduli, un piedino, mezza pagina, pagina intera?”
“Questi sono tecnicismi, preoccupati dell’annuncio.”
Come account frettolosi chiedono “la soluzione” prima di porre bene il problema, molti si scatenano nel dibattito anti-fake con grandi proclami teorici. Però ogni volta che sottolineo che il problema vero è definire dei criteri per distinguere i cosiddetti fake, obiettano che sto cavillando oppure che si tratta di tecnicismi.
Non sono tecnicismi, non sono cavilli: sono il problema dei problemi. Distinguere in modo oggettivo gli annunci “finti” dagli annunci veri, come ha scritto anche Massimo Guastini, presidente ADCI, è meno facile di quel che sembra.
Il primo problema, non un dettaglio tecnico, è definire una regola, dei criteri, e poi rispettarli, tanto nel bene quanto nel male:
- Il numero delle uscite? Una, tre, dieci?
- L’investimento? Mille euro, diecimila, centomila?
- L’approvazione del cliente?
- La documentazione da richiedere? Il briefing? Una “certificazione” del cliente? Controllare tutto il processo di lavoro, comprese le e-mail e le telefonate scambiate col cliente?
- La definizione di diverse categorie di budget, dai microbudget ai “grandi budget veri”?
- Copiare pari pari le regole D&AD o di un altro ADC?
- Altro che non mi viene in mente?
Invece la discussione, più o meno da dieci anni, continua ad avvitarsi sulle grandi logiche astratte, con dogmatismo e contrapposizioni puramente ideologiche. Perché? Perché parlare di grandi sistemi e fare le crociate è emozionante, gratificante e foriero di applausi, quantomeno da parte di chi è d’accordo.
Scendere nel dettaglio di scrivere regole che funzionino (e poi accettarne eventuali disfunzioni, correggendole con intelligenza al prossimo giro) invece è difficile e comporta spesso critiche da entrambe le parti. E infatti proposte concrete non ne arrivano (a parte quella, secondo me condivisibile, di Francesco Simonetti di seguire i criteri elaborati dal D&AD) e non ne sono arrivate neanche nell’ottobre scorso.
La definizione delle regole per distinguere gli annunci “veri” da quelli “finti” è il problema primario e principale, individuando criteri oggettivi facilmente applicabili e non vaghi principi astratti. Ed è la strettoia attraverso cui passare per giungere a una soluzione pratica, possibile e facilmente interpretabile da chi deve poi applicare le regole.