EQUAL: La moda è una vedetta.
Riflessioni sulla potenza della moda a partire da Armine Harutyunyan.
di Paolo Ferrarini.
In occasione del grande dibattito suscitato dai media sul caso della modella Armine Harutyunyan, ADCI ha scelto di confrontarsi con alcune personalità trasversali a diversi mondi per approfondire il tema dei codici estetici nelle rappresentazioni visive.
Il dibattito portato avanti all’interno del progetto Equal e Cast the inclusion, vede come terzo intervento quello di Paolo Ferrarini: docente presso l’Università di Bologna, Polo di Rimini e Accademia Costume e Moda di Roma.
Nel suo articolo ci espone interessanti riflessioni sul ruolo della moda, vedetta d’avanguardia e responsabile dell’uscita allo scoperto di chi, in cambio della diversità e non convenzionalità che frequentemente caratterizza il mondo della moda, consegna odio e indignazione.
Per sua natura la moda varia costantemente alla ricerca di un punto di vista dal quale farsi guardare. Le strade per arrivarci sono molte, piene di sfumature e incroci, ma oscillano costantemente tra la conservazione della memoria e la ricerca della novità. In questo movimento pendolare un altro fattore determinante è la capacità di rapportarsi con il tempo, ingrediente fondamentale che suggerisce allo spettatore se guardare indietro o avanti, oppure al momento presente.
La moda può innovare scegliendo la strada dell’armonia e della rivisitazione del consueto, lavorando sulla variazione minima e sulla familiarità per introdurre grandi trasformazioni. Questa è la linea di Poiret, Dior, Armani, Dolce&Gabbana, grandi seduttori che fanno sognare portandoci fuori dal tempo. La tensione opposta parte da Chanel e arriva a Balenciaga, Gaultier, Franco Moschino, la Scuola di Anversa e Comme des Garçons, che praticano la scomodità (che fa sobbalzare, persino inciampare), l’eccentricità (che guarda il mondo ex-cetrum, fuori dal centro), l’anomalia (che non sta alla regola).
La moda mostra e la moda rivela: mostra manufatti, suggerisce comportamenti e rivela significati. E lo fa attraverso il corpo, perché la moda e la cosmetica sono settori creativi ed espressivi che non possono mai prescindere dalla figura umana nella sua forma più concreta.
A volte il presente è talmente forte e innovativo che ci sa di altro, di differenza che arriva a essere oltraggio. Le trasformazioni del corpo sono un tema caro alla moda e la sua storia ribolle di casi ed episodi che hanno fatto indignare parecchio. Il corpo liberato di Chanel, le armonie nostalgiche di Dior, la nudità di Mary Quant, le aggressioni punk di Vivienne Westwood, le zeppe e gli zoccoli hippie, le spalle del power dressing yuppie, le vite pericolosamente basse dei bumster di McQueen, le magrezze delle modelle sottopeso: all’apparizione di questi fenomeni il discorso si è concentrato su libertà, diritti, malattia, espressione. Non sono temi inventati dalla moda, ma dalla moda sono stati messi al centro della discussione estetica. Si tratta di un tema importante e decisivo, poiché quando un’estetica passa lo scoglio della nicchia e diventa di massa, allora vuol dire che i significati portati dallo stile sono di pubblico dominio.
La moda è fatta di corpi, che spesso vengono raccontati per sineddoche dai volti. Donne e uomini che incarnano il viso del momento hanno quindi l’occasione di diventare icone, di raccontare con occhi, nasi, bocche, denti, ciglia e sopracciglia lo spirito del tempo e il messaggio del creativo. Per questo è importante parlare di Armine Harutyunyan, di quello che significa il suo volto e delle reazioni che ha scatenato, che in egual misura ci dicono cosa siamo oggi e ce lo ricorderanno quando, tra qualche anno, incapperemo nei racconti di queste settimane.
Da quando Alessandro Michele è arrivato da Gucci, la rassicurazione del sexy, la svenevolezza delle bellezze canoniche e la garanzia di un corpo normotipo sono state cortesemente accompagnate alla porta. Michele lavora in continuità con una lunga tradizione di stilisti convinti che il carisma sia più importante delle proporzioni vitruviane, che le idee più innovative possano passare attraverso un abito accompagnato a un volto, che una storia complessa si possa cristallizzare in uno scatto.
Armine Harutyunyan assume dunque il ruolo di nuova interprete di un percorso che la moda ha più volte intrapreso ed è raccontato dai volti di Diana Vreeland, Anna Piaggi, Michèle Lamy, Iris Apfel, Rossy De Palma, Sophia Hadjipanteli, Lady Gaga e innumerevoli altre donne dai lineamenti che non ci si aspetta in quel contesto. Ma parlando di oggi, date un’occhiata a @ravvebeauty su Instagram, che vi aprirà un mondo di alternative possibili, di facce bellissime e terribili, di colori e trasformazioni, di un gusto che può provocare disgusto, di combinazioni che vi faranno capire perché lo stile della figlia dei vostri vicini vi sia tanto indigesto.
Nel 2011 Lady Gaga ha messo a punto un manifesto poderoso, una visione che deflagra con il “born this way”, ma soprattutto con il “paws up” dei suoi “little monsters”. “Fuori gli artigli, mostriciattoli. Siete quello siete e siate quello che volete. Create, imitate e imitatemi, ma non nascondetevi”. E per riuscire a farlo, la moda è uno degli strumenti più efficaci, perché l’apparenza può essere l’arma per farsi guardare, ma anche per indicare ciò che non va. Mettersi in mostra non è solo vanità, ma anche strategia. Se la moda si fa vedetta e avanguardia, in quel preciso istante i nemici delle sue idee inizino a strepitare, a indicare, a giudicare.
Ogni volta in cui un’estetica dirompente porta in scena l’innovazione, quando un pensiero laterale si mette al centro attraverso un abito, quando un volto anomalo fa il suo debutto in società, i benpensanti storcono il naso, gli indignati s’indignano, gli odiatori odiano. Lo faranno con mezzi sempre diversi, dal pettegolezzo alla shitstorm. Lo faranno sempre. Ma almeno la moda li ha fatti venire allo scoperto.
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