Postato il Mar 15 Mag 2012 da in Riflessioni

Scusate, non vorrei parlare di cose volgari.

Un post di venerdì scorso, nato a seguito della discussione sui “fake”, ha prodotto un commento che forse è sfuggito, nel suo essere apparentemente off-topic. Lo ripropongo in home page. L’autore è Bruno Banone.

Una volta si diceva che un’idea vale il budget che il cliente è disposto a metterci su: se il budget era grosso, in proporzione si traduceva in ricchi stipendi, bonus e benefit. Se era piccolo, toccava lavorare di più per prendere altri budget, oppure niente bonus e benefit. Punto.

I premi erano solo il check-up annuale sullo stato dell’arte e coinvolgevano in prima persona solo quei creativi bravi che guadagnavano un lauto stipendio, non solo perché avevano belle idee, ma soprattutto perché erano anche bravi a convincere il Cliente che le loro idee erano eccellenti, che gli avrebbero fatto guadagnare tanti soldi e che quindi valeva la pena investirci su.

Le agenzie corteggiavano quelle aziende che credevano nelle idee così tanto da scommetterci budget importanti e facevano a gara ad accaparrarsi i creativi che firmavano le campagne più di successo e che godevano di prestigio e credibilità professionale presso i Clienti (successo di mercato intendo, i premi se mai erano una conseguenza).

Allora, le agenzie, oltre a riconoscere ai creativi 14 mensilità, più liquidazione, benefit di varia natura e bonus a Natale, e qualche volta anche a Luglio, avanzavano ancora soldi per mandarli una settimana all’anno al Martinez a misurarselo con i colleghi. Fatti loro.

I creativi e i clienti sapevano che il buon lavoro e le idee valgono oro
e sapevano che va pagato bene, perché le buone idee non crescono sugli alberi. Inoltre, i creativi veri andavano di persona a vendere le loro idee, sapevano presentarle difenderle e venderle dentro e fuori l’agenzia. E i clienti sapevano riconoscerle. E infine, ad ogni buona idea piazzata cresceva il prestigio del bravo creativo. Poi certo, arrivavano i premi, ma era un di cui.

Come pare volgare oggi parlare di stipendi interessanti, benefit e bonus e di successo di mercato. In effetti pare roba che ai creativi fa un po’ schifo. Le agenzie e i clienti infatti per delicatezza evitano di parlargliene. Lo sanno anche loro: son ragazzi, si divertono e sono interessati solo i premi. In effetti, osservo che meno soldi il cliente investe su un’idea, più i creativi la trovano fica. Se poi devono chiedere il permesso per farla uscire e pagano tutto loro, deve per forza essere da premio.

Oggi i creativi sono disposti a lavorare a progetto, in stage o gratis, a sopportare di essere pagati poco per produrre tonnellate di lavoro un tanto al chilo. Sono così assuefatti ad essere stuprati mentre guardano da un’altra parte, che sono anni che assistono ai licenziamenti di massa riuscendo a far finta di nulla. D’altronde sarebbe volgare parlarne. L’importante è riuscire a fare una bella paginetta.
Fake, ma bella.

Io penso che appassionarsi e divertirsi nel lavoro sia davvero ok, ma forse se un’idea vale così poco da diventare un mero giochino di società tra creativi, disposti a lavorarci pure gratis, o a riversarne a fiumi su Zooppa o in gare “pay peanuts”, probabilmente si tratta di altro: sapete che poi si diventa ciechi, vero?

Se le idee valgono così poco e si è disposti a pagare per farle uscire, allora non c’è
che da ringraziare il cliente che ce ne chiede a chili ad ogni presentazione: tanto ormai lo sanno anche loro che abbiamo un sacco di fantasia e ci vengono così, per divertimento.

Forse è il caso di tornare a parlare i solide strategie, di effettivi insight, di idee vere, della nostra dignità e del valore che le aziende danno alla nostra professione, misurandosi con il primo segno tangible che nel mondo reale lo dimostra:
il budget che il cliente è disposto a metterci sopra.

Ma scusate, non vorrei parlare di cose volgari che non ci interessano e che ci mandano off topic. Continuiamo pure a parlare di fake.

Sulla questione dei fake, darò anch’io il mio apporto. Secondo me basterebbe creare una sezione nell’Annual chiamata ADCI LAB o ADCI COUTURE o vedete voi di trovare un nome che piace, nel caso chiamiamo un freelance.

In questa sezione finirebbero tutti i lavori usciti, anche una volta sola, anche a spese dell’agenzia ma con il permesso del Cliente. Basterà presentarli con allegati fattura di acquisto dell’effettiva uscita su un media e lettera di autorizzazione del Cliente. Poi via libera ai premi. Sarebbe una sezione dedicata dichiaratamente alla sperimentazione estrema, come si fa da sempre con i prototipi di auto o con l’haute couture nella moda. Nessuna macchia.

Questa sezione dovrebbe servire per fare il punto coinvolgendo in una tavola rotonda Clienti e Istituti di Ricerca per discutere sul gap tra le possibilità creative e strategiche del loro brand e la realtà del mercato, spiegando, motivando, ipotizzando strategie innovative, simulazioni di mercato, cercando stabilire un dialogo professionale, soprattutto ascoltando e cercando di capire qual è la chiave per entrare in relazione con la necessità e la forma mentis delle aziende, riportando un po’ per volta il focus sul concetto che le buone idee non sono solo belle da vedere, ma possono creare un mucchio di soldi. Mi fermo qui, non vorrei essere troppo volgare.

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