Best of Cannes: per una volta, fate i bambini.
“Ant, ti va di scrivere un pezzo per il blog sul Best of Cannes organizzato da ADCI e AIR3?”. Ma certo, rispondo io. Poi però ci penso un attimo e dico: e se girassi la domanda a chi il Best of Cannes lo ha visto per la prima volta? Bella paraculata, direte voi. No, tutt’altro. Ora vi do il rationale.
La prima volta che il best l’ho visto a Cannes era il 2007. Prendete un bambino di 5 anni a Disneyland, moltiplicatelo per 120 e sarete quasi vicini al modo in cui mi ha fatto sentire. Poi di anni e di Cannes ne sono passati un po’ e quel bambino è diventato più grande e più cinico. Parecchio più cinico. Eh, ma questo è già visto mille volte. Eh, ma questo è un fake. Eh, ma questo lo ha fatto (inserisci nome brand _______) 10 anni fa. Eh, ma questo non è un insight. Eh, ma questo da noi non lo faresti mai. Eh, ma che palle, aggiungo. In pratica quel bambino, oggi, è un vecchio rompic*glioni. Ma non ha ancora smesso di sentirsi piccolo davanti a tutta l’infilata di grande bellezza che Cannes continua ad essere. Ora pensate che qualcuno si è fatto la sbatta di raccoglierla, selezionarla, scaricarla, farne una reel, darle un filo conduttore e organizzare un evento in tutta Italia, apposta per farvela vedere. Che lusso, oh. Perciò ho pensato di sdebitarmi così: mettendo a tacere il vecchio rompic*glioni e mettendomi invece in ascolto di chi potesse raccontarvi Best of Cannes con gli occhi del bambino. Quello che non ha la cataratta dei condizionamenti, ma che guarda e basta. E magari, finisce perfino per divertirsi.
Cannes non è una roba per creativi.
Ho invitato tutti i ragazzi dell’agenzia all’evento, soprattutto quelli che non ne avevano mai visto uno, e ho chiesto ad alcuni di loro di raccontarci com’è stato. Ci sono account, strategist e creativi. Mettiamo subito in chiaro una cosa: Cannes non è una roba per creativi. A Cannes non vince una coppia creativa. Vince un team di lavoro ma, più spesso, un’intera agenzia. Vince un cliente. Una casa di produzione. Una industry. Vince, addirittura, un Paese intero. Ma adesso tappiamo la bocca al vecchio e sentiamo come la vedono i ragazzi.
EMILY, account
Mac chiusi e arriviamo al Base. Prima volta per me ad un evento dedicato a Cannes. Giusto un’infarinatura, ma a quanto mi dicono, se non sei mai stato a Cannes, non puoi capire davvero Cannes. Inizia il reel di presentazione. Devo dire che la prima impressione è quella di un flashback. Moltissime campagne avevano un sapore amaro, “quell’odore” inconfondibile di lockdown, che per certi versi sento così lontano, ma che oramai è parte delle vite di tutti noi. Un salto indietro nelle difficoltà, nell’incertezza che ha trovato rifugio nella creatività di tante idee belle. Molte di quelle che abbiamo visto. Alcune totalmente assurde, alcune geniali e che mi hanno strappato un sorriso, per la semplicità con cui, spesso, un montaggio ti rivela la genialità di un’idea semplice.
C’è stata una campagna che più di tutte mi ha lasciato un senso di tristezza profondo e mi ha fatto commuovere. Racconta dell’impossibilità che gli animali hanno di difendersi dalle assurdità delle nostre azioni. Sto parlando di “Save Ralph”, un film di animazione che presenta la storia di questo coniglietto, dall’accento marcatamente British. La storia racconta della sua vita: è un coniglio da laboratorio, cieco da un occhio e sordo da un orecchio. Ma lui ci ripete: “That’s ok, my father did this, my grandfather did it as well”. It’s ok, it’s ok.” Racconta con immagini addolcite dallo stile documentaristico, lo strazio vissuto dagli animali, tutti i singoli giorni. C’è davvero bisogno di torturare Ralph e i suoi amici per una crema da viso? Rispondo come farebbe Ralph: “ Mmmh, I don’t think so.” Commovente.
MARTINA, strategist
Sto da poco muovendo i primi passi in questa realtà fatta di idee, campagne e creatività. È tutto così sconosciuto, ma allo stesso tempo così elettrizzante. Martedì sera, il mio primo evento. Io curiosissima di scoprire sempre di più su questo mondo, ma anche un po’ spaesata, tanto da sentirmi piccola e quasi fuori luogo. Ma quella sera, questa sensazione si è affievolita sempre di più con il passare delle ore, lasciando posto a molto altro. Quella sala mi ha dato tanto: consapevolezza, carica e spunti di riflessione. Quel susseguirsi di idee, una dopo l’altra, senza troppe pause, ha fatto scattare qualcosa. Ho sentito crescere dentro di me un’enorme grinta e voglia di fare. E forse è proprio questo l’effetto di Cannes: darti la carica giusta per fare sempre meglio e offrirti la possibilità di pensare in grande. Quella sera, sì, mi sono sentita piccola davanti a tutta quella bellezza e genialità, ma piccola in senso buono: con occhi sognanti e pieni di voglia di spaccare il mondo.
STEFANO, strategist
Colgo l’occasione per dire subito che è stato fantastico sentire la stessa voce automatizzata di Loquendo o Oddcast che mi accompagna in stazione alle 8 del mattino mentre vado in agenzia guidare le tappe dell’evento. Solo che invece del passante che arriva sempre e comunque in ritardo (ma che ora neanche passa più fino a data da destinarsi), mi sono trovato davanti delle vagonate, letteralmente, di creatività enormi. “Bella trovata”, mi sono detto. Di lì a poco, avrò ripetuto questa stessa frase più e più volte. Perché sì, così è stato il mio primo Best of Cannes: sorprendente. Così sorprendente che neanche mi sarei aspettato che le creatività che più mi hanno convinto fossero basate su insight così semplici da essere geniali: prima “The Spider and the Widow” di Leo Burnett per Samsung, basato sul sottile dettaglio della somiglianza tra il comparto fotocamere dello smartphone e gli occhi del ragno; seguito da “It’s not the New Year until you get the message you’ve been waiting for”, di BBDO per Whatsapp, incentrato sulla potenza stessa del semplice messaggio inaspettato, o che magari si aspettava da tempo, che finalmente compare sullo schermo, un insight ancora più potente dopo un continuo periodo di incertezze e il lockdown. La semplicità, qui, ha avuto la meglio. Ma in ogni caso, le altre creatività (anche qualcuna che non ho ritrovato nei reels e che ho scoperto grazie ad Ant), non sono da meno. Del resto, è il Best Of. E ne sono uscito super gasato e carico. In una sola parola, spettacolare.
RICCARDO, copywriter
Interno, notte. Lato sinistro della sala, seduto su delle scalinate di legno, dure come il marmo. So già che sarò un tronco appena mi rialzerò. Perché, come dice qualcuno, per essere creativi, bisogna stare scomodi. E quale posto migliore può esistere per la creatività se non il Best of Cannes? Conduce Karim Bartoletti. Ci promette che la serata procederà a tutta birra per lasciare spazio all’aperitivo.
E in effetti è così, for real & for reel: Heineken, Heineken e ancora Heineken. Il tasso creativo è altissimo, sarà per questo che mi gira un po’ la testa. Nel mezzo una statua dedicata alle donne, mamme rocker a cui dovremmo fare un monumento e tanto altro ancora. Tutto Made in Italy. Che storia! Tuduuuuuuuuuun. Ecco cos’ho imparato da questo evento: che noi italiani siamo proprio bravi a fare la pubblicità. Quasi quanto 4Creative e i protagonisti del loro film, che è il momento più alto della serata. Quelli fanno un altro sport.
DILETTA, content designer
Martedì sera, spritz in mano. È una di quelle prime volte. Sono le 20:30 quando la serata ha inizio: saremo un centinaio di persone, la crème della creatività, o così mi piace immaginarla. La sala ha i soffitti alti alti, fuori il cielo minaccia tempesta e nell’aria madida di quel calore estivo tipico milanese c’è sete di novità. In due ore fitte fitte, fra un binario concettuale e l’altro, si susseguono treni di idee, che ti investono come un’onda in piena faccia. I veterani sussurrano di una Cannes fin troppo corretta, iper safe. Ma nei miei occhi inesperti, lo schermo in fondo alla sala parla di un orizzonte di possibilità. Fuori piove pioggia forte. E io ho la sensazione di essere immersa in gocce di futuro. Nello zeitgeist di domani, quello che ti corre sottopelle. Un po’ master, un po’ puppet. Un red carpet di idee, ma senza velluto e pose plastiche. E una volta fuori mi sono ritrovata con l’acqua sulle braccia. E i tuoni nella testa.
ELENA, art director
Ant, grazie per il gancio. Che dire, non avremo la cataratta ma la vista offuscata da qualche lacrimuccia per colpa di Be My Baby in sottofondo, sì. Ci dici che siamo super gggiovani, ma questi giovani fin da piccoli ascoltavano You Make me Feel nel seggiolino del sedile posteriore della Golf, mentre i genitori guidavano per l’ennesimo anno di fila verso l’Argentario per le vacanze estive. Gli stessi giovani che oggi entrano in agenzia con I Look Good di O.T. Genasis negli AirPod pensando: “Ca**o, devo diventare il nuovo Don Draper”. Quindi un mix di suggestioni acustico-visive per cui, se a uno non toccava nessun film o case, o stava a pensà al Dj set – che con la pioggia che è venuta si sarà bevuto pure tutti i drink, beato lui – oppure doveva tenè un cuore di pietra. O un cuore NFT. Meno male che ci davi le spalle e che lì dentro si moriva di caldo, così le nostre lacrime si nascondevano un po’ alle gocce di sudore. Sì, perché personalmente di quella serata è rimasta solo una gran sete. Sete di idee.
Best of Cannes: spoiler alert!
Spoiler alert: guardare il Best of Cannes, ti fa venire voglia di vincere a Cannes. Ma ad una condizione: che lo guardiate con gli occhi dei bambini.
Ant – Antonio Di Battista