Postato il Mer 8 Apr 2020 da in #ContinuityADCI Strategy

I BRAND E IL COVID-19 TRA COMUNICAZIONE E MARKETING

Autore: Luca Comino

Prima di iniziare davvero, due parole sull’immagine scelta come cover di questo articolo: si tratta di un video che in Cina in due giorni ha fatto più di 300 milioni di views. Il proprietario di un piccolo shop indipendente di Chengu ha realizzato un tè al latte contenente una medicina cinese, che sembrava essersi dimostrata efficace nell’alleviare i sintomi, promettendo di produrlo e regalarlo ai medici della sua città. Le critiche che sono arrivate dalla rete al proprietario dello shop non riguardavano il mood da “fake news” e la pseudo-scientificità di tutta l’operazione, quanto il non aver dato seguito alla promessa di distribuire il latte. Alla fine quindi, tutto si è risolto in una operazione molto smart di visibilità anche se un po’ cinica da parte del piccole imprenditore.

Entrando quindi nel vivo, zero pretese di esaustività, la quantità di proposte sviluppate in queste settimane in tutto il mondo la conosciamo. E anche senza voler catalogare tutto, è necessario darsi delle regole nel tentativo di fare una fotografia del modo in cui i brand hanno interpretato il loro ruolo in queste settimane dominate dal quasi-iperoggetto COVID 19.

Anzitutto: di cosa vogliamo parlare? Di advertising o di marketing? Da un punto di vista di comunicazione, la tentazione sarebbe di concentrarsi sulla quarta e ultima delle famose “4P”: Product, Price, Place, Promotion. Tuttavia, penso che allargare un po’ al marketing in generale, e quindi parlare anche di prodotto, di prezzo e di distribuzione possa essere utile per fare chiarezza nella valutazione dell’efficacia o anche semplicemente della “creatività” (ammesso e non concesso che le due cose si possano separare) delle idee che i brand hanno messo in campo per affrontare questa crisi.

Utile, ma non decisivo: ad esempio, come mai i messaggi di  “social distancing” di Coca-Cola e McDonald’s sembra non siano stati accolti molto bene sui social, mentre la campagna Jeep è piaciuta di più (almeno, per quanto ne so, ai creativi)? Un semplice fatto di esecuzione brillante e di voglia di trovare un vero concept di campagna, che nel caso di Jeep è “Explore the great indoors”? In effetti le ricerche che finora sono state fatte per quanto riguarda le aspettative dei consumatori circa la pubblicità in questo periodo non escludono affatto, per i brand, la possibilità di continuare a comunicare in modo più o meno normale.

D’altra parte, sappiamo come da un po’ di anni a questa parte si stia enfatizzando l’importanza per i brand non solo di identificare il proprio ruolo nella società e nel mondo, ma anche di metterlo in pratica, di realizzarlo – il che implica, ovviamente, andare oltre il prodotto e la pura e semplice trasmissione di un messaggio.

Da questo punto di vista la crisi sanitaria globale è un incredibile banco di prova: un banco di prova che nessuno, ovviamente, avrebbe voluto sperimentare.

Ho provato a raggruppare i progetti per industry, commentandoli molto brevemente. Infine, per curiosità, una piccola finestra aperta su quel mondo a volte un po’ spiazzante dal punto di vista degli stilemi comunicativi che è l’Estremo Oriente, e la Cina in particolare, dove tutto questo ha avuto inizio.

AUTOMOTIVE

Si tratta di uno di quei settori che subisce con più forza le conseguenze della pandemia. Come stanno reagendo i brand?

Di Jeep abbiamo già detto.

Ford, con la campagna Built to Lend a Hand ha colto l’occasione per celebrare la propria storia e allo stesso tempo valorizzare il proprio servizio di finanziamento, fondamentale in questo periodo.

Interessante constatare che un secondo soggetto della stessa campagna, con un messaggio simile ma una esecuzione molto più fredda, sia stato giudicato molto meno efficace. Di nuovo, una piccola dimostrazione dell’importanza del crafting e in generale della qualità creativa.

HYUNDAI ha scelto di toccare il tasto emotivo dell’importanza della famiglia, rassicurando i recenti acquirenti di un veicolo circa la possibilità di posticipare le rate di pagamento.

BMW Italia invece con la campagna #InsiemePerRipartire ha scelto la strada “tutta comunicazione” del messaggio “siamo qui, soffriamo insieme, insieme ce la faremo”. Da una parte, è un approccio che probabilmente sopravvaluta l’importanza che le persone danno ai Brand nella propria vita, dall’altra se non altro è stato scelto un testimonial credibile a incarnare la possibilità di rialzarsi con coraggio da qualunque crisi: Alex Zanardi.

Infine, sui social, per i brand automotive l’idea di giocare con il logo per dare un messaggio di social distancing è diventato una sorta di gara tra i diversi brand. Lo hanno fatto AUDI, VW e Mercedes. 

HYUNDAI, invece, se non altro ha provato a lanciare un messaggio diverso:

ALCOHOL

Budweiser ha trovato un equilibrio tra pura comunicazione e Brand Activism, realizzando un video fortemente emozionale e con un vero meccanismo creativo, che permette di capire solo alla fine qual è il gesto che il Brand ha deciso di… mettere in campo: “We’re shifting our sports investments to help our heroes on the front lines

Aviation Gin con la campagna #TipYourBartender e Miller Lite con #VirtualTipJar hanno deciso di intervenire in favore dei “bartender”: una categoria particolarmente in difficoltà, in tutto il mondo ma soprattutto in America, dove la mancia (“tip”) costituisce un elemento fondamentale.

Guiness ha fatto sia una sostanziosa donazione sia occupato il territorio “social distancing” con una delle esecuzioni più eleganti e davvero “on brand”.

Le grandi corporations Pernod Ricard e Anheuser-Bush InBev hanno aperto la porta alla possibilità di riconvertire la produzione, in particolare per produrre igienizzante per le mani.

Anche la brewery BREWDOG ha convertito produzione per il PUNK SANITISER, quindi dando un po’ l’impressione di una mossa vagamente cinica, ma forse, in linea con il tono di voce del brand.

A questo però si è accompagnata un’attivazione basata sulla “riconversione della distribuzione”:

Jack Daniel’s personalmente mi ha in po’ deluso con un video “slice of life” con un messaggio molto generico e una creatività fiacca. Però decisamente americana nell’atteggiamento.

Se Jack Daniel’s mi ha un po’ deluso, Johnnie Walker mi ha un po’ stupito per l’assenza. Premesso che, come detto sopra, giocare con il logo non cambia il mondo, il brand in passato aveva ad esempio creato una limited edition “Jane Walker” abbastanza notiziabile. Beh, avrebbe potuto proporre una “Johnnie Sitter”, no? Forse ci hanno pensato ma l’hanno giudicato troppo off-brand?

Johnnie Walker Aims To Make Strides Toward Gender Equality ...

BEAUTY & HEALTH

In questo contesto, i brand in ambito salute e cura della persona possono legittimamente fare leva sui loro valori chiavi: la vicinanza, la dedizione, l’impegno nella ricerca di soluzioni. Le scelte quindi sono state semplici e dirette:

GUERLAIN ha riconvertito la produzione di alcune linee di prodotto per distribuire gratuitamente igienizzante ai lavoratori in ambito sanitario e ospedaliero. L’OREAL si è mosso 

in maniera analoga e così pure ESTEE LAUDER che ha inoltre donato 2mio a Medici Senza Frontiere.

BODYSHOP ha deciso di regalare box di prodotti per la cura personale ai lavoratori ospedalieri, come gesto di attenzione per regalare un po’ di sollievo a chi si sacrifica senza sosta.

LARGO CONSUMO 

Il problema (l’opportunità) che questa industry deve affrontare è legata all’accesso ai beni. Per i brand attivi in questo settore quindi la soluzione si presenta spesso nella forma di un’idea innovativa legata alla distribuzione per rendere più facile la vita delle persone. Non tutti però hanno colto questa opportunità.

Chiquita ad esempio ha ricevuto parecchie critiche sui social per questa creatività, accompagnata dal messaggio “Miss Ciquita è già a casa”.

Il brand di preservativi SKYN non si è lasciato sfuggire l’occasione di suggerire di “STAY & F**K AT HOME”, realizzando al contempo progetti speciali social come il “Pleasure Calendar”, con contenuti di “servizio” quotidiani, consigliando modi per tenersi “occupati”.

BALDOR FOODS è un brand B2B che serve normalmente i ristoranti e che quindi si è trovato da un giorno all’altro con le mani in mano. Ha deciso quindi di riorganizzare il proprio servizio logistico e il proprio sito in ottica B2C, portando il cibo a casa delle persone.

Tra le curiosità, si può senz’altro citare la linea editoriale di No Name, il brand canadese di prodotti generici. Senza fare una piega, hanno affrontato la pandemia come qualsiasi altra conversazione, gestendola con il proprio tono di voce:

Intanto, il brand americano di carne congelata Steak-umm (decisamente non il tipo di brand dal quale ci si aspetta un marketing valoriale e purpose-driven) si sta facendo notare su Twitter e sui magazine di settore per l’autencitità del proprio community management, arrivando addirittura a distinguere tra la necessità di fare advertising di prodotto e la necessità di guardare in faccia la realtà. E suggerendo che, se si ha fiducia, come suggeriva Ogilvy, nel buon senso del proprio pubblico, le due cose possono convivere.

Domanda: per un brand food, non sarebbe stato interessante mixare l’invito forte a stare a casa il più possibile con la legittimità della visita “necessaria” al supermercato proponendo una guida per realizzare in una volta sola la “spesa del mese”, ovviamente mettendo al centro del carrello i propri prodotti e collegando un piano editoriale di challenge mensili? In questo modo, comunicazione di prodotto e messaggio di responsabilità sociale avrebbero potuto convivere bene.

Infine, un po’ largo consumo un po’ beni durevoli, IKEA ha, diciamo così, giocato in casa. Un po’ puntanto sull’emozione con il video “dal punto di vista della casa”, un po’ sfruttando ironicamente i suoi asset Istruzioni e Catalogo. In generale, però, da IKEA forse ci si aspetta qualcosa di più e di meglio. Che stiano preparando qualcosa per il dopo?

ASSICURAZIONI

AIA ha creato una polizza gratuita anti-Covid, mossa molto notiziabile e apprezzata.

In Italia, VERTI ha invece deciso di puntare sul contenuto di intrattenimento, realizzando per Instagram un piccolo video AMSR con colonna sonora binaurale per regalare un momento di serenità e permettere comunque alla propria community di “muoversi” (la promessa del Brand) pur rimanendo a casa.

ONLINE ENTERTAINMENT

Industry molto vivace in questo momento. Solo Twitch, ad esempio, ha registrato un aumento di traffico del 10%. Molti brand hanno messo in campo una loro versione della “mossa PornHub“.

SKY ARTE ha messo a disposizione tutti i propri contenuti su una piattaforma aperta.

E mentre dalla Miami Ad School è uscita la campagna virale OOH con gli spoiler delle serie per scoraggiare ad uscire di casa, Netflix ha deciso di lavorare sul prodotto, lanciando Netflix Party, una extension di Chrome che permette di condividere un account e soprattutto di ricreare l’esperienza di vedere un programma insieme agli amici.

E non si può negare che conosca il suo pubblico, donando 100mio ad un fondo dedicato ai freelance del mondo della creatività.

ONLINE PLATFORMS

Come notato da un autorevole commentatore del marketing digitale un paio di settimane fa,  che ha addirittura parlato di “Silenzio degli dei”, i Big Four si sono limitati a esistere e più o meno a funzionare, permettendoci di rimanere in contatto e di accedere a possibilità di intrattenimento impensabili se questa crisi si fosse verificata solo qualche anno fa.

Vero? Abbastanza, almeno fino a pochi giorni fa, quando Facebook ha colto l’occasione con Droga5 per una bella operazione: un video di grande impatto emotivo, che da una parte opera una sorta di back to basics per il brand, mettendo al centro la forza del volto umano, dall’altra valorizza la feature Community Help.

WhatsApp, che senz’altro ha un problema in quanto canale di misinformazione e fake news, ha realizzato una partnership con WHO, Unicef e l’International Fact-Checking Network per realizzare un “Coronavirus Hub”, con l’obiettivo di scoraggiare la diffusione di notizie non fondate o allarmistiche.

Personalmente, ho apprezzato la scelta di PINTEREST, che, in linea con le linee guida della community, risponde alle query esclusivamente con contenuti provenienti da fonti istituzionali.

Inutile poi sottolineare come le piattaforme di lavoro collaborativo e online education abbiano tutte provato a mettersi a disposizione per rendere le giornate più produttive e utili.

RISTORAZIONE

Se McDonald’s, come raccontato all’inizio, ha da una parte giocato con il logo per lanciare il messaggio di “social distancing” e dall’altra rassicurato circa l’operitività dei suoi ristoranti in modalità Drive Thru, Burger King ha voluto incarnare di più l’ideale di “content as a service”, insegnando a preparare il Whopper perfetto a casa, come già mostrato nel precedente articolo di questa serie. 

CHIPOTLE ha aperto dei “lunch hangouts” per ricreare l’esperienza del pranzo in comune.

Il food market danese Rotunden ha fatto qualcosa di molto creativo e rilevante, lavorando sul prezzo: per scoraggiare l’accumulo inutile di prodotti, in particolare di hand sanitizer, ha creato una “promozione” molto particolare: invece del classico “compri 1 e il secondo è scontato”, ha deciso che “compri 1 e il secondo costa molto, molto di più”.

E LA CINA?

Uno sguardo al primo paese che ha dovuto gestire il contagio.

Anzitutto, colpisce il tono di voce assolutamente giocoso anche delle comunicazioni più funzionali e informative, che vanno così ad assumere una qualità più vicina al “nudging“. Questa ad esempio è una multisoggetto rivolta agli autisti di un servizio analogo a Uber (Gadoe), con 6 consigli di comportamento. Alcuni dei meme della campagna (il gatto con la maschera e l’uomo-dinosauro) hanno preso fuoco con forza sui social.

Il gigante di microblogging WEIBO ha invece voluto condividere l’elenco di tutti i brand che hanno contribuito con donazioni, allineando così la popolazione sulla notevole cifra complessiva: 1 miliardo e 300 mio di Euro.

Non sono ovviamente mancati classici progetti di attivazione, come quello del mega brand diary Yili, che con “Aiuta un amico a Wuhan” ha invitato a mandare un messaggio di vicinanza a una persona cara nella provincia focolaio del virus: il brand si impegnava a recapitare il messaggio e una scorta di latte.

AH SÌ: CORONA EXTRA

Come si è mosso questo brand che condivide il nome con il virus? All’inizio, come ricordiamo tutti, giravamo molte immagini (fake o meno) di scaffali di supermercato saccheggiati nei quali rimaneva solo la Corona, evitata da tutti.

Come previsto però dal guru del marketing Mark Ritson, la situazione si sarebbe risolta favorevolmente per il Brand. Così infatti è stato: “Nielsen data from Credit Suisse found sales for Constellation Brands, owner of Corona, are up 39 percent for the most recent week, led by the Corona family, up 50 percent. Apparently, Corona Beer is proving popular at Zoom happy hours.” 

Questi dati potrebbero essere interpreati come una conferma d

ella maggiore efficacia di una strategia basata sulla distinzione piuttosto che sulla differenziazione (dibattito che agita il mondo della marketing strategy da decenni).

Finora, durante tutta la crisi, Corona ha mantenuto un profilo di comunicazione basato sulla consistenza della propria linea editoriale, senza entrare nella conversazione ma continuando a espandere i propri territori di comunicazione tradizionali.

CONCLUSIONE

Non c’è conclusione. Brand e agenzie hanno di fronte ancora settimane se non mesi di regime di eccezionalità. Questo periodo può essere per attività tattiche rincorrendo l’attualità, o possono essere un’occasione anche per un pensiero profondo su cosa significherà costruire marche che non solo crescano ma anche prosperino nel mondo del dopo Covid-19, tra strategie di distinzione, differenziazione, entertainment e purpose.