Where’s Bill?
Che fine ha fatto Bill, il magazine preferito da ogni pubblicitario che si rispetti?
Ottima, senza dubbio. Giuseppe Mazza, fondatore e direttore della testata, ci racconta presente e futuro del progetto editoriale lanciato quattro anni fa.
Bill è tornato; o meglio non era mai andato via, ma la periodicità è diventata semestrale. Come mai?
Tre risposte.
La prima è che Bill è tanto appassionante quanto impegnativo. E, oltre a esserne la casa editrice, Tita è anche un’agenzia con i suoi clienti, i suoi progetti… Insomma l’originaria cadenza trimestrale – interviste all’estero, inviati, diritti per le immagini, feedback con fotografi e illustratori, lavoro redazionale – per quanto eroicamente portata avanti per quattro anni, era sempre più difficile.
Poi – seconda risposta – c’era la volontà di approfondire gli argomenti trattati, fino a farne quasi una rivista di studi. Pensiamo a Bill anche come a un piccolo riferimento per chi più avanti studierà questa stagione del linguaggio pubblicitario e le sue trasformazioni, che secondo me riguardano un po’ tutti, non solo chi ci lavora. Ergo, la lunghezza degli interventi pubblicati è aumentata, la foliazione pure, e la cadenza segue più i tempi dell’analisi che quelli dell’attualità.
Terza e ultima: cambiare è uno degli aspetti essenziali di questo mestiere. Farsi istituzione, ripetere le formule, è qualcosa cui chiunque di noi è refrattario.
Due anni fa hai curato Bernbach: pubblicitario umanista, la prima raccolta di testi originali di Bill Bernbach. Sono trascorsi 33 anni dalla sua scomparsa, ma abbiamo ancora bisogno dei suoi insegnamenti. Perché?
Perché quella rivoluzione è stata soltanto annunciata. Le sue campagne sono tuttora meravigliose (quello sì è branded content!) così come quelle dei suoi epigoni in tutto il mondo: verità umane espresse in modo emozionante. Ma la stragrande maggioranza della pubblicità intorno a noi è inutile e brutta, oltre che un inconcepibile spreco di denaro e tempo. Anche se abbiamo visto dei lampi di quello che è possibile, lo strumento è utilizzato ancora in modo assai immaturo, oltre che terribilmente noioso. Diffondere l’approccio di Bernbach ha senso anche perché intorno alla pubblicità serve conoscenza. Per chi la pensa e per chi la paga. Le scuole in questo non aiutano: lasciami dire, trovo incredibile che folle di ragazzi si diplomino senza conoscere neanche per nome personaggi come Abbott o Hegarty o McEllligott… Forse c’è qualcuno che studia da regista ignorando Ford o Fellini? Non si tratta di fare i colti, quelle campagne sono ispirazioni ancora vive, e se non sai cosa c’era prima di te è quasi impossibile innovare. Altrimenti saremo condannati alla mediocrità o – peggio – a cercare di emulare modelli dei quali non capiamo bene il senso. E poi Bernbach ha annunciato per primo quello che oggi sta succedendo, ossia lo strabordare del linguaggio pubblicitario nella società, nella politica, nell’arte. Una visione lucidissima, oggi viva più che mai.
La cover dell’ultimo numero è stata dedicata, per la prima volta, a un personaggio di fantasia, eppure divenuto rapidamente un’autentica icona del nostro settore: Don Draper. Com’è nata questa scelta?
Già nel numero precedente avevamo dedicato la cover a Van Damme e al suo epic split. Anche in questo caso abbiamo voluto cambiare, uscendo per un po’ dalla “gallery” di grandi personaggi dell’adv internazionale che stavamo inanellando, passando per David Droga, Dan Wieden, Gerry Graf e molti altri… Adottare personaggi “di fantasia” è stato anche un modo per sottolineare gli influssi del linguaggio pubblicitario sull’immaginario contemporaneo. Credo che Mad Men sia stato un vero evento per la cultura pop mondiale: mai prima di allora ci si era resi conto di quanta ricchezza contenesse il mondo dell’adv e le merci che gli ruotano intorno. Non è un caso se qualche anno dopo è arrivato un film come NO-I giorni dell’arcobaleno, nel quale un “creativo” contribuisce con le sue idee a sconfiggere Pinochet, il primo nel quale un pubblicitario è un eroe democratico. Stiamo assistendo a una fase nuova per il nostro linguaggio, un’espansione non solo mediatica ma anche di senso, anche se non mi sembra che chi dirige le agenzie ne sia consapevole.
Puoi darci qualche anticipazione sul prossimo numero?
Teaser. Ci sarà finalmente un approfondimento non moralistico né bacchettone su sesso e pubblicità, ci sarà una “avventurosa storia” dell’adv italiano, poi un focus sul pianeta Adbusters e dintorni con diverse esclusive, una ricostruzione inedita sul giovane Bernbach e altre cose tra le quali una bellissima cover su un personaggio reale, molto reale: Pasquale Barbella.
Non solo magazine, però. Quali altre iniziative hai in calendario?
Beh sì, quando ho detto che la vocazione è non stare fermi mi sono condannato ad annunciare novità! La prima è la Summer School di Bill Magazine, che si terrà anche quest’anno tra il 17 e il 21 agosto: un’occasione unica per pensare a quello che stiamo facendo e a come lo vogliamo fare, abbattendo confini e liberando curiosità. Quest’anno ci saranno ospiti che ci piacciono molto ma di più non posso dire.
Altra cosa, sto preparando un nuovo libro-raccolta, stavolta dedicato non a un personaggio ma ai copy di oggi e di ieri.
Ultima: alla fine del 2016 Bill Magazine, indovina un po’, dopo due anni cambierà di nuovo identità e formula, legandosi a un progetto ancora più grande al quale stiamo lavorando… e mi fermo qui, per il momento direi che con le novità siamo ben messi!