Perché spariremo se non apriamo.
Alienus Non Diutius.
(motto latino adottato dalla Pixar University)
La partenza di Ulisse (Claude Lorrain – 1646)L’entità più prodigiosa, e in gran parte misteriosa, dell’universo conosciuto ci è in realtà molto vicina. È il nostro cervello. Solo il 14% della corteccia cerebrale è composto da aree motrici e sensitive. Il restante 86% è costituito invece da aree associative. Già questa disparità potrebbe suggerire qualcosa.
Vi passo un’altra considerazione: secondo un modello ricorrente, tutto quello che non si interfaccia tende a sparire. Vale anche in Economia.
Ma restiamo al sistema nervoso, da cui sono partito.
Durante la fase fetale dell’uomo, l’organismo produce 250 mila neuroni al minuto. La produzione si blocca a un mese dalla nascita, quando prende il via una seconda fase, che durerà tutta la vita: la creazione di connessioni tra le cellule. Le cellule che non si interfacciano vengono eliminate.
Sembrerebbe che interfacciarsi sia il primo passo per essere utili. E chi non è in grado di trovare una propria funzione attraverso una ramificata serie di relazioni e connessioni è destinato a scomparire.
Suona sinistro, solo se ci si oppone. La buona notizia è che il nostro cervello ci rende meravigliosamente adattivi. Basta usarlo.
Nei post degli scorsi giorni ho cercato di argomentare due aspetti fondamentali.
L’Art Directors Club Italiano ha un senso, una ragione di esistere (un’utilità) solo se persegue la vision espressa come obiettivo primario nel nostro stesso Statuto:
migliorare gli standard della creatività nel campo della comunicazione e delle discipline a essa collegate. Promuovere la consapevolezza dell’importanza di questi standard all’interno della comunità aziendale, istituzionale e del pubblico in genere, in Italia e all’estero.
Un obiettivo che ci spinge, guarda caso, a interfacciarci e ad avere un’utilità.
Questo obiettivo è realizzabile a condizione di essere un vero Club, formato da soci accomunati dalla consapevolezza del proprio ruolo e dalla volontà di incidere positivamente nella società. Per non renderla ancora più volgare. Per aiutarla a risalire, sia pure un gradino alla volta.
Ritengo che questa consapevolezza e questa volontà, unite all’impegno di seguire le indicazioni espresse dal nostro Manifesto Deontologico, debbano divenire le uniche condizioni di ammissione all’Art Directors Club Italiano.
Abbiamo più bisogno di motivazioni presenti che di c.v. in questa battaglia culturale.
L’obiettivo è migliorare la comunicazione italiana, non raccontare che siamo l’associazione che si autodefinisce dei migliori creativi italiani.
L’essere molecole unite da forti motivazioni, attuali e utili a tutti, ci renderà sostanza e ci darà stabilità.
Essere uniti da motivazione deboli ha fatto sì che il numero dei Soci con diritto di voto sia rimasto stabilmente assestato intorno ai 200. E quelli davvero attivi meno di quaranta.
Perché a seconda della politica sulla composizione delle giurie e i criteri di iscrizione agli Adci Awards c’è sempre stata una parte di scontenti che non confermava la propria iscrizione.
Uno stallo infinito.
Avere legami deboli ci ha reso estramente fragili, instabili e incapaci di sviluppare una “buona chimica” con gli altri agenti circostanti.
Sia per l’Ulisse di Omero sia per quello di Joyce, il contatto con l’altro arricchisce (e non distrugge) l’identità.
Questo Consiglio Direttivo sta invitando i Soci dell’ADCI ad arricchire la nostra identità, che si è impoverita per mancanza di confronto e interazioni.
So che il requisito delle tre pubblicazioni negli Annual Adci, o riconoscimenti considerati altrettanto importanti, per poter accedere al Club, è per molti un tabù oltre che un cambio di Statuto.
So anche che se non apriremo il Club a chi è interessato al nostro vero obiettivo più che ad Annual e Awards, spariremo.
Nel caso l’attuale Consiglio Direttivo restasse alla guida del Club anche per i prossimi 18 mesi, faremo in modo che tutti i Soci possano esprimersi online sulla questione.