Postato il Ven 29 Mar 2013 da in La vita del Club

Parola di Art Director – e del copy Ravenna

Quando nemmeno due anni fa, l’editore ADC Group aveva pubblicato “The Headliners” dedicato a 54 copywriter italiani (un volume coordinato da Pasquale Diaferia, coadiuvato dai padrini editoriali Pasquale Barbella, Milka Pogliani e Annamaria Testa), scrissi di slancio un pezzo piuttosto entusiastico – anche perché avevo assistito alla presentazione dove avevano detto cose avvincenti e persino inattese, Andrea Concato, Vicky Gitto, Fabio Palombo, Francesco Roccaforte, Sergio Rodriguez, Luca Scotto di Carlo e, come unico art director, Gianpietro Vigorelli.

Ora è uscito il suo inevitabile, attesissimo e quasi dovuto pendant consacrato agli art. Titolo: “Parola di art director”. Autore: Daniele Ravenna. Le introduzioni sono di Daniele Cima, Gianfranco Marabelli, Gianpietro Vigorelli, Gavino Sanna. Il formato (24 x 21 cm) è identico, il format no.

Ravenna ha scelto di porre a (quasi) tutti, delle domande semplici e individuali (molte, pochissime, qualche volta una sola). Il format di quei dialoghi consiste nel fatto palese, che non è un format. Per Daniele, le cose dette dagli art non sono battute più o meno interessanti, spiazzanti o riuscite, ma sono concetti e scelte – non solo professionali ma, in qualche caso, persino di vita. In incontri come questi, ci sono sempre in agguato alcuni casi nei quali le migliori risposte non derivano per forza da precise domande. In questo libro, in qualche caso anche l’attesa, la pazienza, il silenzio del coordinatore sono stati, come si dice in gergo saggistico, assordanti.

“Parole di art director”, più che consultarlo come censimento professionale, è da leggere – tutto d’un fiato. Il titolo è tranchant, diretto, coerente. Da guardare, in verità ce n’è pochino. Di ciascuno dei protagonisti, c’è una foto psicologicamente “ambientata”, un unico lavoro (una pagina pubblicitaria o qualche frame) e, in alcuni casi, anche un’immagine-oggetto-frase-icona, che potrebbe/dovrebbe esprimere un programma, un obiettivo, una carriera, una sorta di biologia personale della creatività. Evviva dunque, la bio-diversità dell’art direction italiana.

Aprendo e sfogliando questo volume, la voglia di “andare un po’ a vedere cosa ha fatto” l’art director X, Y oppure Z, svanisce presto. A me è successo – e sono certo che capiterà a molti altri – di cogliere piuttosto un mood, un insieme di una gaia o sofferta italianità, che non è sempre, per forza, solo visiva. Estremizzando il concetto, per carpire e capire dove sta e come va l’art direction italiana di questi anni, il volume serve poco. Le campagne che hanno fatto la storia del nostro advertising storico e recente, ci sono solo in minima parte. Vi si rintanano invece, questo sì, tantissime vite, visioni, contesti, tutti rispecchiati negli sguardi (spesso ironici o sognanti) dei protagonisti.

Per dirla tutta, l’art direction italiana, quasi quasi non c’è. Ci sono invece 59 radiografie raccolte in un ricco album di famiglia – tutto da decifrare e da riordinare. Una sorta di Facebook che racconta la psicologia, gli stili, le complicità e le solitudini, di una generazione di “ricercatori” che da tempo non è più gggiovane, ma nemmeno già matura (nel senso di compiuta e definitiva).

Se uno straniero mi chiedesse di mostrargli cosa sta cercando l’Italia creativa, non parlerei nemmeno alla lontana di moda, di arte e di design. Gli mostrerei gli slanci strenuamente adolescenziali di questi nostri art… e cercherei di tradurre nell’esperanto della fantasia tutte le parole che Daniele Ravenna ha ascoltato, raccolto, provocato e riassunto in questa sfaccettata homepage di 160 pagine editoriali.

Però, sui contenuti strettamente “personali”, non posso evitare di porre all’editore alcune domande, sostanzialmente storiche e con questo, forse, persino culturali:

a) Come mai non c’è l’unica art director che in Italia ha vinto due Grand Prix ADCI, all’estero due Cannes Lions, Epica, Clio, Eurobest, London Festival, e che nel 2012 ha rappresentato la nostra creatività nientemeno che nella giuria Print dei Cannes Lions?

b) Che fine ha fatto l’ex socio ADCI veneto/milanese/romano che nell’archivio web del Club è presente con 257 citazioni visive – che hanno racimolato la miseria di appena 18 Ori, 27 Argenti e 33 Bronzi?

c) Per quale Grazia ricevuta ma dimenticata, non trovo la art director che con le sue raffinate ricerche per Banca di Roma e Medici senza frontiere aveva realizzato il primo e inaudito connubio tra immaginazione, costruttivismo e type, tra Tina Modotti, Bauhaus e David Carson?

A questi tre protagonisti di un involontario Chi l’ha visto o Mister Magoo, potrei aggiungere anche alcuni “figuranti” che avevano cocciutamente con-traghettato la nostra vecchia réclame verso l’advertising moderno: i vari Pier Paolo Cornieti, Roberto Gariboldi, Raymond Gfeller, Felix Humm, Franco Moretti, Paolo Rossetti, Franco Tassi, non li trovate nemmeno nei titoli di coda … semplicemente perché i loro nomi erano già apparsi molto prima che arrivassero i titoli degli attuali blockbuster “Shots”, “Lürzer’s Archive” e “Photoshop”. A dire il vero, alcuni di questi protagonisti, Ravenna li cita nella sua bella prefazione, ma io avrei tanto desiderato rivederli insieme – e non sotto – ai heroes di questo avvincente plot.

Se posso, per un attimo, inserirmi in un treatment personale dello script, confesso che (esattamente come era già successo due anni fa con i copy), ben sei art li avevo avuti come apprendisti stregoni in Accademia di Comunicazione. La somma di 6 + 6 corrisponde a “La sporca dozzina” di un Lee Marvin armato solo di un innocuo Victorinox importato direttamente da quel di Tsurico.

Lasciatemi chiudere questo tweet da oltre 5000 caratteri con un grazie sincero a chi ha speso tanto tempo ed energia per contattare-incontrare-fotografare-navigare-telefonare-impaginare-scrivere per/con/su cinquantanove + quattro art director che, insieme ai loro copy, hanno strenuamente tenuto in vita quell’eroico resto di comunicazione di qualità che si continua a vedere dalle nostre parti – nonostante i nostri managerazzi siano diventati sempre più bravi a stringere la loro garrota intorno alla creatività.

Se Sagone se la sentisse di dedicare un terzo volume anche ai CEO che, sia di qua che di là della sale meeting, menano le danze del nostro advertising, non credo che potrebbe riempire molto più di un esile quartino. Dopo i tempi mitici dei vari e rari Livraghi, Rizzi, Pincherle, Caimi, Sabbatini, Suter, Ettorre, Saffirio, Lorenzini… pare che la vision dei nostri bisnesmen si sia definitivamente fermata alla 36a buca del loro minigolf.

Till

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