Postato il Gio 31 Lug 2025 da in La vita del Club

THIS IS NOT THE BEST OF PRIDE

di Sofia Altea Lettieri

Cos’è successo ai Pride nel 2025?
Quest’anno non parleremo delle migliori campagne a tema Pride, poiché un tema più rilevante sul Pride è saltato agli occhi.
Il 2025 sta segnando un momento di cambiamento significativo nel rapporto tra brand e comunità LGBTQIA+. Negli Stati Uniti, dove da anni i Pride sono anche grandi palcoscenici per la comunicazione aziendale, si assiste a una ritirata silenziosa ma evidente: molti marchi noti che in passato coloravano le strade con loghi arcobaleno, carri festosi e campagne dedicate, hanno scelto di ridurre o interrompere il proprio sostegno.
Il caso di New York City Pride è emblematico. Colossi come Mastercard, Citi e PepsiCo hanno ritirato le loro sponsorizzazioni, causando un buco economico di centinaia di migliaia di dollari. Anche aziende come Anheuser-Busch, Diageo e Comcast si sono tirate indietro da San Francisco Pride, e lo stesso è accaduto a Columbus (con Nissan e Walmart) e a Washington D.C., dove Deloitte e Booz Allen Hamilton hanno drasticamente ridotto la loro presenza.
Ma cosa sta spingendo queste aziende, che fino a pochi anni fa gareggiavano per mostrarsi alleate della comunità LGBTQIA+, a fare un passo indietro?
Le ragioni sembrano convergere attorno a un contesto politico radicalmente mutato. L’amministrazione Trump, tornata alla guida degli Stati Uniti, ha lanciato un’offensiva contro le politiche DEI (Diversity, Equity and Inclusion), minacciando controlli e sanzioni per le aziende federali che mantengono queste iniziative. In parallelo, sono aumentate le pressioni da parte di gruppi conservatori, che promuovono campagne come “go woke, go broke”, scoraggiando qualsiasi forma di comunicazione percepita come progressista. Di fronte a questo clima polarizzato, molte aziende stanno semplicemente rivalutando i rischi: meglio abbassare i toni, evitare esposizioni eccessive, ridurre l’impatto visivo delle proprie alleanze.
Non si tratta necessariamente di un disimpegno totale. In alcuni casi, le aziende preferiscono sostenere eventi Pride in modo più discreto o attraverso canali interni. Target, ad esempio, ha mantenuto una partnership con il NYC Pride, ma optando per una modalità “silenziosa”, senza visibilità pubblica. Altre ancora continuano a promuovere l’inclusività con iniziative lontane dai riflettori, ma la sensazione generale – confermata da numerosi report – è quella di una ritirata strategica e calcolata.
Questo cambiamento ha effetti concreti: gli organizzatori dei Pride devono fare i conti con budget ridotti, meno visibilità mediatica e una crescente sfiducia da parte della comunità, che guarda con sospetto al “marketing arcobaleno” stagionale, percependolo sempre più come opportunismo commerciale e sempre meno come reale sostegno.
E in Italia?
Anche nel nostro Paese il 2025 ha mostrato segnali simili, soprattutto per quanto riguarda la presenza di grandi brand americani. Amazon, che lo scorso anno aveva partecipato al Milano Pride con carri, loghi e comunicazione esterna, quest’anno ha scelto una presenza limitata alla sola delegazione interna del gruppo “Glamazon”, senza loghi o elementi visibili. UniCredit, pur essendo una banca italiana, è un altro esempio significativo: dopo anni di sponsorship ufficiale, ha ridotto la sua partecipazione a una presenza interna tramite il network aziendale “Unicorns”.
Il clima culturale e politico statunitense ha quindi avuto eco anche in Europa. In particolare, molte multinazionali con sedi italiane ma radici americane hanno rivisto le proprie politiche di comunicazione legate al Pride, sospinte da un timore crescente verso le ripercussioni politiche e i possibili boicottaggi da parte di una clientela conservatrice.
Tuttavia, in Italia si osserva anche una reazione interessante e forse persino positiva. Alcune aziende locali, come Bending Spoons e L’Oréal Italia, hanno preso il posto lasciato libero da alcuni giganti globali, diventando sponsor attivi e visibili del Milano Pride. Non solo: cresce anche la spinta verso un Pride più indipendente, militante, legato alle origini del movimento. In diverse città italiane, gli organizzatori stanno puntando su autofinanziamento e crowdfunding, per non dipendere troppo da sponsor esterni e riappropriarsi del significato politico – e non solo celebrativo – delle manifestazioni.
In definitiva, il 2025 sembra rappresentare un anno di passaggio. Se da un lato il ritiro dei brand potrebbe sembrare una perdita, dall’altro sta aprendo lo spazio per una riflessione più autentica sul ruolo delle aziende nei movimenti sociali. È davvero utile un carro colorato se manca un impegno strutturale e coerente tutto l’anno? La comunità LGBTQIA+ sembra rispondere con una voce sempre più chiara: ciò che conta non è la visibilità temporanea, ma la coerenza, il rispetto e il sostegno concreto.
E forse, proprio nella riduzione del rumore mediatico, potrà risuonare con più forza la voce del Pride.

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