Postato il Ven 17 Giu 2022 da in HeritageLa vita del Club

Ricordo di Michele Goettsche (o come diavolo si scrive)

Di Lele Panzeri


Sono entrato in pubblicità nei primissimi anni settanta grazie ad una raccomandazione.
Era la neonata TBWA.
Siccome sapevo tenere in mano la matita, decisero che ero un art-director.
In quegli anni due agenzie svettavano nel lato “novità interessanti” del mercato: la TBWA, appunto, e l’Agenzia Italia di tale Muccini, tale Pirella e tale Goettsche.
Per quattro anni tenni d’occhio i nostri misteriosi rivali e, in cuor mio, capivo che erano più fighi di noi assai moltissimo super più più.
Ma me lo tenevo per me e mi ripromisi che, prima o poi, sarei andato a lavorare per loro.
E così successe.
Reduce da un fallimentare tentativo di fare il direttore creativo in provincia a 25 anni, capii che avevo fatto il passo più lungo della gamba e decisi di ricominciare tutto dall’inizio.
Mi licenziai “al buio” e tornai a casa.
Alzai la cornetta del telefono, composi il numero dell’Agenzia Italia (me lo ricordo ancora adesso) e chiesi di Emanuele Pirella.
“Buongiorno, sono Lele Panzeri, art, e mi piacerebbe fare un colloquio da voi se possibile”.
“ Domani mattina alle 9.30, chiedi di me al secondo piano di via Leopardi 1”.
Era un’epoca felice in cui le cose succedevano così.
Puntualissimo, entrai nell’ascensore insieme a un tizio biondiccio, altissimo, magro, con gli occhi di ghiaccio e rigido come un palo.
Non mi degnò di uno sguardo ma, mentre uscivo dalla porta, mi disse:
“L’ufficio di Emanuele è subito a sinistra in fondo. Forse non c’è ancora, entra pure e siediti ma non toccare niente sulla scrivania, intanto ti faccio portare un caffè”.
Era il maggiordomo?
Forse era il corazziere personale di Pirella.
Ad attendere Emanuele, seduto su un’altra poltroncina c’era un ragazzo della mia età con una grossa valigetta sulle ginocchia.
Era Roberto Gorla.
Entrò Emanuele seguito dal corazziere con due caffè in mano e scattammo all’unisono sull’attenti.
Si sedettero uno di fianco all’altro e ci squadrarono a lungo senza parlare.
Il corazziere era il leggendario Goettsche! Come avevo fatto a non capirlo?
Cominciarono a interrogare Roberto dato che era arrivato per primo.
Roberto mi fu subito simpatico anche perché non si vergogno a dire che per sbarcare il lunario faceva il pornografo per il settimanale “Le Ore”. Nel senso che gli davano delle foto e lui scriveva un raccontino che le avrebbe accompagnate.
La valigetta era stracolma di vari numeri dell’autorevole rivista di cui sopra.
Dopo una prima rapida occhiata Emanuele chiese a Roberto se poteva trattenere la valigetta per un giorno che voleva mostrarla a Muccini.
No problem.
Gli occhi dei due si volsero a me.
Io sudavo freddo.
Aprii la bocca per proferire la prima sillaba di non so quale parola ma Michele mi stoppò subito.
“Te, sappiamo benissimo chi sei..”
Ed Emanuele:
“Se ne avete voglia potete cominciare domani mattina a quest’ora. Anzi, lavorerete in coppia.
BINGO!
Salimmo al sesto piano ad incontrare l’ineffabile Muccini (avete presente Roger Sterling di Mad Men? Ecco, identico).
Ci accordammo sullo stipendio.
Io riuscii a spuntare circa la metà di quello che prendevo in provincia.
In un attimo fummo fuori.
Astro Bar per un Campari e patatine.
Era fatta.
Ero entrato nell’astronave di Star Trek in viaggio verso il futuro.
E da lì cominciò la mia frequentazione con Michele.
Dovete sapere che l’Agenzia Italia proprio in quel periodo era veramente sulla cresta dell’onda.
Perdevano un cliente al giorno ma in compenso ne prendevano tre.
Il reparto creativo occupava un intero piano del palazzo. C’erano ragazzi e ragazze che sarebbero diventati, quasi tutti, i migliori direttori creativi della generazione successiva a quella di Emanuele e Michele.
Il reparto era un misto di campo di concentramento e circolo anarchico carrarino.
Michele ed Emanuele avevano due uffici ai lati opposti del piano.
In mezzo era un bordello… un formicaio… un alveare.
Il mio primo compito fu di rimettere in ordine i vecchi layout in uno stanzino.
Mio Dio! Erano meravigliosi… tutti disegnati a mano, compresa la tipografia.
Sarei mai stato all’altezza di questo standard?
Uscii dallo stanzino dopo tre giorni e venni convocato da Michele.
“A parole ci avremmo messo più tempo… e comunque non ce l’avevamo… hai capito dove sei?”
In un sussulto di sincerità risposi:
“Michele… scusa… ho sbagliato a venire qui… non sono all’altezza… non ce la posso fare… ti prego, licenziami…”
Sul volto severo ed impassibile di Michele sbocciò miracolosamente, un bellissimo sorriso.
“Non dire cazzate… quando sono arrivati, gli altri, erano peggio di te. Comincerai con i buoni sconto dell’amaro 18 Isolabella. Vai da Morange al sesto piano e diglielo”.
Poi si alzò in piedi.
Era alto una spanna più di me, allargo’ le braccia e mi abbracciò fortissimo a lungo.
“La nostra non è un’agenzia normale… noi siamo come i Barbudos di Fidel Castro e Che Guevara nella giungla cubana. Se vuoi, il posto di Camilo Cienfuegos è vacante. Dimostrami che ne sei degno. Hai tre mesi di tempo”.
Passarono i tre mesi, poi passarono tre anni, poi quattro, poi cinque, poi sei…
Michele fu sempre molto dominante in agenzia. Era l’unico modo di far andare dritto quel carrozzone di scapestrati di talento.
Fu molto severo anche con me. Essere severo gli riusciva benissimo…
Ma quando ne ebbi bisogno, mi aiutò e si assunse in toto la responsabilità di un pericoloso errore che avevo commesso.
Campagna per il lancio della Ritmo Fiat (a posteriori la macchina più brutta di tutti i tempi, ma allora sembrava fenomenale).
Cliente Fiat, naturalmente.
Campagna molto poetica, surreale, molto “istituzionale” come si diceva a quei tempi.
L’evoluzione della specie.
Fotografo scelto? Art Kane (andate su google).
Shooting in Italia, girovagando per una decina di giorni.
Kane si portò la fidanzata con la quale litigava tutte le sere.
Io volavo a tre metri da terra e ogni sera al telefono con Michele sostenevo che stava andando tutto benissimo, che Art Kane era un genio eccetera.
Quando arrivarono tutte le diapositive EKTACHROME, più o meno 14.000 mi chiusi in una stanza col Karousel (o Carousel?) per sceglierne 8.
Art Kane non aveva fatto nessuna preselezione… “Scegli tu tranquillamente… sono tutte bellissime…”
Erano tutte un disastro.
Non se ne salvava una.
Le avrei fatte meglio io, dato che non avrei avuto al seguito una fidanzata stronza.
Andai da Michele pallido come un morto.
“Una merda… disastro totale… fanno schifo…”.
E lì saltò fuori il vero Michele.
Dopo aver scorso le scelte disse che in parte avevo ragione, che avremmo cancellato il numero di telefono di Art Kane dalla rubrica, che non era colpa mia e che ci pensava lui.
Mentre stavo accasciato sulla poltroncina del suo ufficio lui si mise al lavoro.
Le prese, le tagliò, le impaginò, le fece stampare eccetera… saltarono fuori otto semi-finished sorprendentemente plausibili.
Mi portarono alla presentazione in Fiat dove ci attendevano Camerana e l’avvocato Agnelli.
Michele presentò il lavoro dritto in piedi, rigido con i suoi occhi di ghiaccio col suo accento tedesco con la sua reputazione… e fu un trionfo.
Sembrò un bel lavoro perfino a me che ero in fase psico-labile.
Potrei raccontare mille altri aneddoti su Michele… tipo quando arrivò a presentare il suo portfolio un matto vero, vestito con una tuta arancione, tale Tremonti e Michele ne fu spaventato dato che parlava di foto di nudo di donna mentre ci mostrava fotografie di macchinari industriali… di quando gli fecero provare il “popper”… di quando improvvisamente si innamorò… di quando convocava il temutissimo Bill Minardi con la sua valigetta da esecutivi killer per mettere insieme il prototipo della campagna… di quando mi fece provare la sua Saab 700 turbo e siccome andavo troppo piano schiacciava col suo piede sinistro il mio sull’acceleratore… di quando mi insegnò una miriade di trucchi per disegnare i layout… né troppo sommari, né troppo rifiniti…
Ore, giornate, mesi, anni passati insieme.
E ora mi dicono che se n’è andato… così… un mezzogiorno che stavo tagliando l’insalata… è morto Michele Goettsche… come?… cosa?… scherzi?… non scherzava.
Se n’è andata la persona che ho sempre considerato professionalmente mio padre (mia madre è stata Michele Rizzi).
Michele tutt’e due.
Provo una tristezza infinita per lui, per i suoi cari, per quei tempi meravigliosi, per quel modo ormai sorpassato e dimenticato di lavorare.
Per i suoi occhi di ghiaccio e per il suo cuore buono.
Se ne vanno i giganti, uno per uno, in silenzio.
Tristezza infinita.
E gratitudine, che vorrei condividere con voi, amici dell’Art Directors Club Italiano.

Lele Panzeri