“Questo Bachi non è un semplice Bachi”
Ricevo da Enzo Sterpi questo bel ricordo di Pierluigi Bachi.
Qualche giorno fa abbiamo perso Pierluigi Bachi. Un amico che era un art director che era stato un illustratore. Pierluigi si distingueva per la discrezione e l’educazione. Qualità che si riflettevano fortemente nel suo lavoro, con una millimetrica precisione vestita di ironia e di un profondo rispetto per questo mestiere. Rispetto per un’arte di cui aveva respirato le basi in famiglia, con un padre che dipingeva a mano le insegne dei negozi (spazi, caratteri, proporzioni, sintesi visiva, colori, ecc). Questo giovane illustratore arrivò a Milano da Lucca e iniziò a lavorare, a frequentare le agenzie, dove incontrò una doppia fortuna. La prima erano gli anni ottanta, un’era impensabile per chi lavora oggi, fatta di manualità, layout, pennarelli, righe storte dei copy e righe dritte degli art, di lucidi, ma anche di forte sperimentazione, di budget, di soldi investiti in produzione, in fotografi, in stipendi. Poi la seconda fu di entrare in Publimarket, un’agenzia che era un piccolo paradiso della creatività gestito da Daniele Cima e Renata Prevost, in cui anche i soci/proprietari credevano nella creatività. E con quel gruppetto di creativi Pierluigi iniziò a fare l’art director. Poi ci sono state La Troost, la Benton&Bowles, la Mc Cann e via via altre fino alla Testa di Torino e fino al ritorno a casa, aprendo un ufficio a Viareggio dove poter lavorare vicino alla moglie e alle figlie.
Abbiamo lavorato insieme e nel mio portfolio c’è qualche pezzo di Bachi, lo ricordo con affetto e so che mancherà a molti.
Per chiudere questo pezzo con un po’ di vitale umanità vorrei aggiungere un ricordo che ho postato su Facebook.
Pierluigi Bachi non c’è più. Anni fa mi ha chiamato x aiutarlo in una gara e sono andato a Viareggio, nel suo ufficio che se apri la finestra c’è giù il canale con le barche.
Mentre lavoravamo si è assentato poco più di 10 minuti per seguire qualche altro progetto della sua agenzia, lasciandomi solo. E io, come Gatto Silvestro, sono andato all’altro lato del tavolo e mi sono seduto al suo posto, davanti al suo adorato blocco da layout im-ma-co-la-to.
E gli ho scritto, su tutto lo spazio della doppia pagina, una canzone:
Ode al Bachi
(da cantare sulla musica di Il tuo bacio è come un rock)Questo Bachi è come un rock,
che ti morde col suo swing.E’ assai facile al layout,
che ti fulmina sul ring.Fa l’effetto di uno choc,
e perciò canto così:
Ba-Ba-Ba Ba-Ba-Ba
il tuo Bachi è come un rock!Questo Bachi non è un semplice Bachi,
uno solo ne vale almeno tre,e per questo bambina tu mi piachi,
e dico “Ba-Ba-Bachiami così!”
Quando è tornato e si è messo a leggerla, con la pipa in bocca, ho iniziato a cantargliela, intonato come neanche il peggior concorrente di X Factor. E lui rideva. E rideva. E rideva. Ha staccato il foglio e l’ha appoggiato al vetro della finestra guardandolo in controluce, sembrava un ortopedico che esamina una lastra. E poi rideva ma non poteva se no gli cadeva la pipa. E se teneva la pipa gli cadeva il foglio dalla finestra, e così via. Con quel suo muoversi che non c’è a Milano, è proprio solo suo e dei Lucchesi.
Quando a sera sono andato via mi ha accompagnato alla macchina, e mi ha detto: Mi rifai il finale?
E lì, ormai al buio, in un parcheggio di Viareggio, gli ho cantato le ultime due strofe:
Questo Bachi non è un semplice Bachi,
uno solo ne vale almeno tre,e per questo bambina tu mi piachi,
e dico “Ba-Ba-Bachiami così!”