Quando lo stile diventa eredità: addio a Giorgio Armani
Quando si parla di stile, rigore e innovazione nel panorama della moda italiana, il nome di Giorgio Armani è tra i primi a emergere. Ma oltre all’indiscusso talento sartoriale, ciò che lo ha reso un’icona globale è stata anche la sua capacità di comunicare in modo coerente, raffinato e sempre riconoscibile.
In questo articolo, l’ Art Directors Club Italiano rende omaggio a Giorgio Armani attraverso uno sguardo personale e professionale di due soci: Michele Mariani e Giuseppe Mastromatteo.

La scomparsa di Giorgio Armani ha lasciato un vuoto profondo.
Per anni è stato un riferimento di stile e un perfetto ambasciatore del made in Italy nel mondo.
La possibilità di conoscerlo e lavorare per lui è stato un privilegio raro. ( Conservo ancora i layout approvati con la sua firma )
Ci ha regalato passione, energia, coerenza e attaccamento al lavoro.
Ci ha insegnato che la bellezza non è un concetto effimero e superficiale, ma un valore profondo che si nutre di cultura, consapevolezza, e rispetto.
Che la costante ricerca del bello può diventare un modo di capire il mondo.
Che la creatività può trasferire le emozioni più forti, cercando l’essenza delle cose. Per sottrazione.
E in un mondo in cui tutti urlano, questo è il suo insegnamento più potente.
Grazie Sig. Armani.
Michele Mariani, Executive Creative Director Group, Armando Testa Group

Se ne è andato Giorgio Armani e con lui si chiude un capitolo formidabile del gusto e dello stile italiano. Un periodo che, abbiamo tutti la sensazione, rimarrà come una parentesi meravigliosa del Novecento. Armani non è stato soltanto un grande stilista, ma un raffinato pensatore, che ha lavorato di cesellature per tutta la vita dopo aver rivoluzionato, negli anni ’80, l’intera industry e il gusto dell’epoca partendo da una giacca. Quella giacca destrutturata non fu solo un gesto estetico: portava con sé l’idea di un’eleganza nuova, naturale, capace di liberare il corpo dalle costrizioni. Parlava già di identità fluida, in grado di attraversare i confini di genere e anticipare una tematica che oggi ci appare urgente e necessaria. Armani vestì la donna con giacche e tailleur maschili, dandole autorevolezza e potere senza rinunciare all’eleganza. Liberò l’uomo dalla rigidità sartoriale classica, accarezzandone il corpo con linee morbide, regalando libertà di movimento e una nuova sensualità. Con la sua visione contribuì all’immagine della donna professionista emancipata, in piena ascesa nelle aziende e nella società.
Se faccio questo mestiere è anche per colpa sua. A dodici anni compravo riviste di moda, conservo ancora qualche Vogue dell’epoca e a quattordici entrai per la prima volta nell’Emporio Armani per acquistare un jeans, un bomber e una maglietta: mia madre aveva capito quanto desiderassi quei capi.
Mi accontentò. Quel giorno sono diventato per la prima volta ciò che volevo essere. Me lo ricordo perfettamente. Per me ragazzo di provincia era come entrare in un altro mondo: in quei vestiti l’identità non era più qualcosa di dato ma di scelto, costruito, immaginato. Per la prima volta stavo indossando me stesso Tre anni fa mi ritrovai di fronte a lui nel suo bookstore in centro a Milano. Attesi in fila per due ore con l’amico e socio Max Verrone. Arrivó il mio turno finalmente, gli chiesi di firmare la sua nuova autobiografia per mia figlia Nina. Insieme al libro, gli misi sul tavolo una fotografia che considero un manifesto: lui Giorgio Armani, già oltre gli ottant’anni, intento a sistemare personalmente una vetrina in via Manzoni. Rifiutó secco: «No, non la firmo». Ci rimasi male ma tornai a chiedere spiegandogli che quella foto per me rappresentava la sua grandezza: l’impegno infinito, la dedizione assoluta al lavoro, il rigore che diventa poesia, che diventa ragione di vita. Mi guardò e disse: «Senta non la firmo. Non vede che in questa foto sono brutto?» Sorrisi. Continuai e alla fine cedette con una condizione: «La firmo solo se la mette in un posto che la vede lei». Ho mantenuto la promessa: quella foto oggi è appesa nel bagno della mia camera da letto. Rimane la sua lezione, impressa in quell’immagine: non basta la passerella, serve la cura ossessiva del dettaglio. Non basta il colpo di teatro, serve la disciplina invisibile che dà sostanza alle idee. Oggi il mondo saluta un maestro, ma quella fotografia resta un manifesto:
la vera genialità non urla, vive in un gesto silenzioso dentro una vetrina. Come tanti anni fa. Prima che diventasse Re.
Addio, Re Giorgio.
di Giuseppe Mastromatteo, Vicepresidente ADCI, President & Chief Creative Officer, Ogilvy Italia
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