Perché essere soci dell’Art Directors Club Italiano
“Hell is a place where nothing connects with nothing”
(Thomas S. Eliot)
Perché anche se il temperamento creativo comporta spesso dei profili psicologici non esattamente stabili, l’isolamento ci rende più vulnerabili.
Perché tra le tante voci che parlano di comunicazione pubblicitaria continui a esserci anche quella di chi sa produrla.
Perché possiamo incidere nel Paese, persino in questo Paese, se frequentandoci, confrontandoci e condividendo le nostre riflessioni, faremo appello alla parte migliore che è in ciascuno di noi. Se sapremo portare le nostre conversazioni abbastanza in alto da diventare rilevanti anche per il mondo esterno.
Ieri ho spiegato quella che a mio avviso è la nostra ragione di esistere come associazione. Ciò che può renderci necessari e quindi utili.
Comprendere la nostra funzione implica mettere a fuoco quella che può essere la nostra identità corale e le vere ragioni che ci devono unire per tornare ad avere il ruolo che ci spetta: protagonisti della comunicazione. Oggi siamo ai margini.
Solo condividendo una visione comune dell’importanza del nostro ruolo sociale e perseguendola compatti, con coerenza, possiamo invertire una tendenza che non è stata determinata dalla crisi economica.
Ci eravamo già isolati.
Abbiamo iniziato a ghettizzarci dal momento in cui abbiamo sentito la necessità di autoproclamarci una elite, guardando dall’alto i colleghi che non potevano fare parte del Club. Quando non paghi di questa prima divisione (tra noi e “gli altri”) abbiamo creato ulteriori pareti all’interno del Club stesso, inventandoci giurie ristrette e ranking che di fatto hanno portato molti soci a sentirsi meno uguali degli altri.
Quando per salire nel ranking abbiamo iniziato a confondere la ricerca personale con il lavoro vero. I giurati Adci con il pubblico.
E mentre nel mondo si affermavano nuove interfacce che amplificavano le possibilità di interazione, condivisione, e quindi confronto, noi ci siamo confinati in una riserva.
Angusta e rissosa.
Se non vi piace Eliot e la citazione in testa a questo post, ve ne do una cinematografica:
“pueblo chico infierno grande”.
Es lo mismo.
Siamo un pueblo chico perché anziché occupare posizioni ci inventiamo contrapposizioni. L’ultima è stata quella “giovani&vecchi”. L’ennesimo, sconsiderato, Harakiri.
Di fatto ha portato a un ulteriore depauperamento del Club. E mi riferisco a valori e memoria, non alle quote associative.
Come Consiglio Direttivo abbiamo creato il gruppo “Goodfellas” per arrivare meglio organizzati a quella vetrina internazionale che è Cannes e offrire un’immagine più coesa ai colleghi degli altri paesi.
Ma non vi propongo di essere protagonisti della comunicazione solo andando più compatti a Cannes.
L’Italia ha sicuramente bisogno di un’entità autorevole che indichi modelli di comunicazione socialmente sostenibile. Una voce competente che spieghi con costanza perché la pubblicità non è e non deve essere quella roba che ci stiamo abituando a credere e ad accettare. Possiamo essere noi quella voce e quella entità purché, anche nel comportamento associativo, si sia in grado di far prevalere le nostre luci più che le nostre ombre.
Purché non si deleghi tutto questo solo alle nove persone che formano il Consiglio Direttivo dell’Adci.
I soci che servono all’Adci
– chiunque spenda le proprie energie e capacità professionali “per smuovere, anche solo di un millimetro, il livello qualitativo della comunicazione di una azienda vocazionalmente dedita alla produzione massiva di letame comunicativo” (continuo a ringraziare Marco Carnevale per questa ispirazione).
– chiunque sia consapevole che con il suo ruolo contribuisce, nel bene o nel male a determinare l’ immaginario collettivo.
– chiunque, in virtù di questa consapevolezza, spenda determinazione e creatività per migliorare qualunque messaggio, non solo quelli che verranno a contatto con micro comunità elitarie (ovvero sia colleghi giurati di importanti festival).
– chiunque persegua l’obiettivo primario dell’Adci e non il proprio avanzamento in qualche irrilevante ranking. Lavoriamo per promuovere marche, servizi, per diffondere idee, non per promuovere noi stessi. E dobbiamo pretendere di essere pagati in denaro, non in premi.
– chiunque si batta in ogni ufficio, in ogni sala riunioni o situazione pubblica, contro chi si oppone ai punti precedenti.
– chiunque si impegni a rispettare, difendere e diffondere, anche (e soprattutto) al di fuori della nostra comunità i principi e gli appelli espressi attraverso il nostro Manifesto Deontologico.