L’emarginazione dei creativi spinge le aziende all’estero
Andrea Crocioni, di Pubblicità Italia, mi ha chiesto cosa penso dell’iniziativa dell’agenzia Casiraghi Greco &, uscita due giorni fa con questa pagina su Il Sole 24 Ore.
Questa operazione, firmata da una sola agenzia pubblicitaria, rischia di apparire essenzialmente autopromozionale.
La domanda cruciale è un’altra: perché le aziende italiane cercano e acquistano strategie di comunicazione e idée all’estero?
Perché le agenzie locali non sanno più porsi con autorevolezza e credibilità. Perché si sono fatte la guerra sulla debolezza del fee anziché sulla forza del pensiero. Perché i clienti vengono acquisiti e mantenuti sulla base di non valori quali pronattività, servilismo, clientelismo e altri “ismi” poco edificanti, che di fatto hanno determinato un istmo innaturale. Una barriera tra chi commissiona le idée e chi le produce. Del tutto controproducente.
Perché è morta la vera meritocrazia. Quella che spingeva un’azienda a cercare un determinato creativo per quanto aveva reso nota una marca. Non per i premi vinti con annunci farlocchi (visti più da giurati che dal pubblico).
Il creativo più famoso d’Italia è Oliviero Toscani. Tanto che ricordiamo lui più che i marchi per i quali lavora. E quando anche li ricordiamo, li associamo a Toscani, non esattamente un brand value.
Continuo a pensare che i “creativi” pubblicitari debbano essere persuasori occulti. Putroppo oggi sono sin troppo occultati da ruoli intermediari e “mezzani”. O relegati in sottoscala con salari da colf non in regola. Nelle agenzie estere i creativi sono al centro del processo strategico, non ai margini.
Le idée hanno bisogno di aria, luce e trasparenza. Altrimenti muoiono, come le piante d’ufficio.
Se non si fosse capito, ritengo più utile l’autocritica a una generica accusa al mondo delle aziende. In ogni caso, onore a Cesare Casiraghi e Daniela Greco per aver investito risorse su un punto di vista e sul marchio della propria agenzia. Dimostrano di crederci.
Buone vacanze
massimo guastini