“Il Logo di Firenze è un lavoro rubato che banalizza la città”. Parola di Milton Glaser.
Poiché è probabile che questo post venga letto anche da qualche assessore e qualche politico, linko Milton Glaser alla corrispondente voce Wikipedia. Anche se non capite nulla di design, grafica, loghi e strategie di branding, è probabile che il logo di NY lo abbiate visto. Magari da giovani avete addirittura appeso, nella vostra cameretta piena di ideali destinati al macero, il più celebre tra i poster di Bob Dylan. Anche quello è opera di Milton Glaser.
Diana Di Nuzzo, giornalista di Artribune, è andata a intervistare proprio Milton Glaser a NY e ci ha mandato in anteprima il video.
Posto anche la traduzione (sempre di Diana Di Nuzzo) e un suo commento.
Traduzione
“La prima domanda che occorre fare è: quale è il fine per l’identità di una città. Il fine è elevare la città nella coscienza delle persone in una maniera che sia memorabile, in modo tale che la prossima volta che vedranno questa rappresentazione, la ricorderanno. Purtroppo quello che è stato fatto è perfettamente dimenticabile, infatti dopo che l’hai visto non te lo ricordi più. Non è un marchio, è uno piccolo poema, e come tale dovrebbe essere una antologia di poesia, che va bene, ma come marchio che rappresenta la città e totalmente inadeguato. In aggiunta, quello che vuoi che accada quando guardi ad una identity è avere affezione per un’istituzione, il più importante compito per un trade mark, è far sentire lo spettatore affezionato a cosa si rappresenta. Qui non puoi avere nessuna affezione, perchè non sai cosa vuole dire. Inoltre, è copiato da un pre esistente marchio di un’altro luogo. La combinazione è disgustosa, non solo è inadeguata, e non serve i suoi fini, ma è anche un plagio, che imbarazzo!…Si sta parlando di una delle più grandi città, istituzioni, simboli nel mondo, non si sta parlando del New Jersey, si parla di Firenze! E Firenze deve essere espressa in un modo che esprima la propria importanza nella storia della civilizzazione, mentre qua tutto quello che abbiamo è un lavoro rubato che banalizza la città, che la rende meno importante di quello che è, e la fa sembrare come una qualsiasi altra piccola città che aspiri ad essere significativa. La cosa è stata diretta cosí male che è impossibile capire come si sia arrivati a questo punto. Ma si sapeva fin dall’inizio, quando hai mille idee, non ci sono possibilità che la migliore venga selezionata. Non puoi selezionare il migliore tra mille di nulla!”
Commento (Diana Di Nuzzo)
“All’indomani della proclamazione del vincitore del contest lanciato dal Comune di Firenze per trovare il nuovo brand della città, Milton Glaser mi accoglie nel suo studio. Nella piccola palazzina sulla trentaduesima, mostro al guru del graphic design quello che è stato dichiarato numero uno tra i 5000 progetti sottoposti sulla piattaforma digitale Zooppa da un pubblico non selezionato. Selezionata solo dopo la chiusura del concorso è stata invece la giuria, che ha scelto l’immagine del nome di Firenze in quattro lingue, incorniciate in un quadrato. Alcune delle lettere vengono evidenziate in grassetto, e il marchio viene presentato come qualcosa di originale ed essenziale in fatto di comunicazione visiva. Peccato che dopo avere cominciato a circolare on line, il pubblico di internet abbia iniziato ad agitarsi, dopo avere riconosciuto nell’immagine, un’eccessiva somiglianza con il simbolo usato dalla città di Praga, che pure si presenta nella forma della sua declinazione in lingue diverse, all’interno di un quadrato come contenitore visivo. Ma le coincidenze non terminano qua. Alcuni occhi attenti hanno anche osservato che, all’interno del focus del quadrato, le lettere evidenziate in grassetto, costituiscono quasi totalmente il cognome dell’ormai premier italiano. La storia si infittisce ulteriormente quando l’autore del logo viene identificato come un collaboratore assiduo del Comune di Firenze. Dunque, tra ben cinquemila proposte, il vincitore per l’appunto aveva già ripetutamente svolto servizi di comunicazione commissionati dal Comune. Per tutta questa serie di motivi ho ritenuto importante sentire la voce di colui che ha segnato la storia della creatività dando luce al logo che da anni ormai contraddistingue l’identità visiva di New York: I heart NY. Milton dice: “Il compito dell”identity” di una città, è quello di elevare la città alle coscienze della gente. Le persone devono ricordare. E, guardando a questa immagine, le persone non si ricorderanno di essa. Questo è stato l’esito di un bando che riflette un’illusione di democrazia, presentando un risultato non democratico.” Insomma, questo sedicente quadrato magico non contribuisce ad arricchire di senso e il valore di una identità che è oggetto di ammirazione di turisti che parlano le lingue di tutto il mondo, non più latino, bensí una infinità di altri idiomi esclusi da questo tentativo claudicante di branding. La somiglianza paradossale con il logo di Praga è invece quello che imbarazza di più se si lascia da parte il fatto che l’inscrizione del cognome di Renzi somiglia ad un messaggio non poi troppo subliminale, inducente ad una lettura involontaria del cognome Renzi, figura responsabile di un bando enunciato in modo non professionale, come denunciato dalle categorie di settore, che a questo giro hanno avuto la loro sana rivincita morale. Alla fine Milton Glaser mi congeda sorridendo: hai tutte le carte in regola per scrivere una piece teatrale molto divertente…”
Vorrei fare presente che il mio obiettivo non è distruggere il povero vincitore, ma ribadire il concetto di quanto le idee e la creatività siano un bene da considerare molto più attentamente di quanto abbia saputo fare l’amministrazione Renzi. (Diana Di Nuzzo)
Come presidente Adci vorrei aggiungere anch’io qualche considerazione.
Sia Adci sia Aiap hanno tentato in vari modi di scongiurare questa ennesima farsa. Abbiamo cercato più volte il dialogo. Nonostante la risposta di Renzi alla Presidente Aiap Daniela Piscitelli sia stata, più o meno, “perché non partecipate anche voi al concorso Zooppa?”.
L’esito finale non è migliore di quanto già denunciavo ai tempi del logo di Roma: Dalla lezione Morandi a quella Alemanno, passando per Milton Glaser.
Là la gestione era del centro destra, qui del centro sinistra (?). Per Roma oltre 1000 proposte. Per Firenze 5000.
A parte i dettagli, posso in pratica replicare quasi le stesse parole. A distanza di soli 15 mesi. Che tristezza.
Nel piccolo studio in cui lavora oggi Milton Glaser, c’è un motto incorniciato: Art is a work.
Trattate con rispetto il lavoro. Soprattutto se non lo conoscete e non lo sapete fare. Non c’è nulla di male nel non essere competenti in una disciplina. Ma c’è molto di male nel non saperlo riconoscere e nel gestire da incompetenti queste situazioni
La prossima volta, anziché sfruttare la “conversation” derivante da oltre 5000 proposte di logo, (e raccontarlo pure in giro), rivolgetevi a pochissimi professionisti capaci. Non sapete individuarli? Ci sono associazioni professionali (come l’Aiap e l’Adci) che ve li sapranno indicare e si renderanno disponibili a comporre una Commissione realmente competente. Naturalmente potrebbero anche aiutarvi nella stesura di un brief utile. Perché leggendo quello che avete scritto era prevedibile anche l’esito.
Noi siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e Leonardo, dicevano con giusto orgoglio due protagonisti di un vecchio film dei fratelli Taviani (Goodmorning Babilonia). E per dio se è vero. E per dio se sembra invece falso guardando il logo di Firenze.
Siamo davvero stufi di essere i “cittadini figli di puttana” di un Paese che comunica attraverso “lavori” come l’ex logo di Milano Expo, il berlusconiano “magic italy”, o la campagna contro la droga di Giovanardi.
Siamo stufi di politici, assessori e valvassini vari che quando hanno un pugno di euro per comunicare si rivolgono a qualunque esperto di supercazzole varie anziché a chi ha la competenza per farlo.
Chioso con le parole di Renzi (postate su Facebook) a proposito del logo di Firenze