IF! 2020 – Day #3
Dicono che l’undici novembre, oltre a essere San Martino, sia anche il Singles’ Day, ma a IF! mi pare di capire che le figate camminino sempre in coppia.
Sono due infatti gli eventoni che hanno caratterizzato la giornata di ieri.
Si comincia con #IAMREMARKABLE, workshop curato da YouTube e in cui Giulia Gallo, (People Manager Google), Chiara Garofoli (Senior Legal Counsel Google), Cristina Malaspina (Product Marketing Manager Google) si sono rivolte a tutti, specialmente le donne e i gruppi poco rappresentati, affinché parlino apertamente dei loro successi nell’ambiente di lavoro e non solo.
L’obiettivo, anzi i due obiettivi del workshop sono stati chiari fin dall’inizio:
- incoraggiare chi non si sente rappresentato a parlare dei propri successi;
- mettere in discussione la percezione negativa da parte della società dell’autopromozione.
Come riuscirci?
Parlare dei propri successi, riconoscere il proprio valore e i risultati ottenuti può risultare molto più complicato che parlare dei propri fallimenti. La nostra società infatti percepisce il personal branding e l’autopromozione negativamente rispetto ad altri paesi, come gli Stati Uniti, dove si viene educati sin da piccoli a presentarsi e a raccontarsi nel modo migliore.
Il messaggio delle relatrici è chiaro: quello che dici si basa sui fatti, non sei poco umile, stai semplicemente raccontando una verità. Se hai raggiunto un obiettivo (qualunque esso sia), devi poterne parlare senza vergogna e senza remore. Anche perché se non credi tu per primo in te stesso, perché gli altri dovrebbero?
L’impegno non basta: l’impegno da solo non sempre è sufficiente a raggiungere un obiettivo. Oltre all’impegno, alle competenze e alle qualità bisogna allenare la capacità di parlare bene di sé. Altrimenti, si rischia di rimanere indietro rispetto a chi sa autopromuoversi.
Ah, a proposito di impegno: ce ne serve tantissimo per comprendere il concetto di sostenibilità. Figuriamoci per raggiungerla.
Per informazioni, chiedere a Guerino Delfino (Presidente di LifeGate Consulting and Media), Simone Molteni (Direttore Scientifico Lifegate) e Alessandra Lanza (Comitato Organizzatore IF!) che hanno tenuto banco con un interessantissima conversation dal titolo LA SOSTENIBILITÀ È SOLO CLIMATE CHANGE?
Hanno raccontato ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, cos’è LifeGate, un network di informazione e servizi per persone, aziende, ong e istituzioni impegnate per un futuro sostenibile.
LifeGate da anni si pone come hub dell’innovazione sostenibile, incubare idee basate su nuovi paradigmi per connettere menti, progetti e aziende.
Oggi è partner, da due anni, per il Festival IF! e lo è per due motivi.
Aiuta il Festival a trattare temi importanti come quello della sostenibilità legato alle aziende e per azzerare le emissioni della stessa manifestazione che diventa quindi sostenibile a sua volta.
Le parole di Delfino sono perentorie e incontrovertibili.
“Ogni volta che scienza, economia e fattori sociali si incontrano è complicato trovare la formula per far in modo che tutto possa quadrare nel verso corretto.
Siamo figli di una economia neoliberale che sposa l’idea che l’ambiente sia un grande magazzino delle nostre azioni. Ma c’è una seconda visione ovvero quella più futurista, ovvero che ogni azione che facciamo deve riuscire a tener conto degli effetti provabili sulla sesta, settimana generazione dopo di noi. Vendere e informare non è semplice. Bisogna passare da uno storytelling costruito sui trend del consumo (abbiamo aziende che si basano su un modello di consumo esasperato) ad un storydoing, ovvero fare delle cose comunicando. Farle e anche velocemente perché il tempo non si ferma. L’essenza del nostro mestiere è vendere ma oggi bisogna includere il fattore sostenibilità. Che vende a sua volta. Se non ci rendiamo conto che immediatamente devono cambiare le cose, ci troveremo in una situazione complicata che già oggi per molti fattori lo è. Il climate change è infatti il problema che più velocemente dobbiamo risolvere.”
Molteni è, se possibile, ancora più tranchant e punta a instillare in chi lo ascolta il seme della consapevolezza.
Ecco un estratto del suo intervento:
Chi guarda gli ecosistemi, ragiona anche sugli squilibri che stanno avvenendo e solo cosi si capisce che è tutto molto complesso. Come siamo messi? Male. Non è un riassunto mio, una posizione individuale mia, ma globale e a dircelo sono 11 mila scienziati specializzati che spiegano come il nostro pianeta stia vivendo un grande momento di emergenza.
Chi si occupa di queste cose da anni e guarda la realtà non riesce ad aver fiducia. Il primo messaggio che voglio dare è proprio quello di fiducia. Meglio: di fidarsi. Quando si parla di collasso, di emergenza, e viene divulgato da studio scientifico non bisogna pensare al riduttivo ma al cambiamento importante che bisogna fare nel nostro stile di vita.
Esempio: le sollecitazioni che le infrastrutture subiscono. Fa più caldo, le infrastrutture non sono disegnate per quello ma non possono essere cambiate in poco tempo ma con una ricerca e tempi più lunghi. Questo esempio è semplice e viene spesso capito un po’ da tutti. Si diceva: “per dimensionarle devi guardare con lo specchietto retrovisore alle sollecitazioni massime che hanno colpito le strutture negli ultimi 100 anni, poi progetti”. Ha funzionato, ma solo perché lo scenario esterno non ha mai cambiato velocemente come oggi. Ora non è cosi.
3 esempi:
40 autostrade nel centro Italia chiuse per asfalto che si scioglie.
20 ponti in Olanda chiusi perché non si aprono per dilatazione termica delle giunture meccaniche.
Ferrovie chiuse, in generale, per lo stesso motivo, infatti i binari dipendono dalla temperatura che oggi supera quello che si pensava potesse accadere e va a minare quello che era il disegno iniziale.
Delfino continua con un’analisi acuta sui bias cognitivi che influiscono sulla nostra comprensione del climate change:
I bias cognitivi ci aiutano a riflettere, il cervello ha uno schema di deviazione del giudizio che si verifica in presenza di certi presupposti. Tema importante perché la nostra mente è stata organizzata per sopravvivere per prendere decisioni rapide in momenti debilitanti. I bias ci rendono di difficile comprensione il climate change ma soprattutto di vederlo come problema.
2 esempi
Bias del tempo: tengo a post-porre una perdita, ovvero il bias del vincere o perdere. Razionalmente certo dobbiamo fare qualcosa, ma perdere il proprio stile di vita è complicato.
Bias dell’intangibilità: il Covid, difficile percepire un virus che non vedo.
Quindi è difficile percepire i cambiamenti climatici come sfida da sostenere. È una strada difficile che comporta una rivoluzione a più livelli e richiede tempo. Come si parte? Come si fa a farla diventare azione?
Ci sono degli aspetti che hanno a che fare con l’attività di tutti i giorni, altri riguardanti le aziende e su come possono operare. Di certo anche i governi e sicuramente anche la scienza stessa ci presenza delle azioni.
Insomma, il futuro non è tutto rose e fiori. Ma nemmeno il presente ha un’aria così promettente. Per cui tanto vale rimboccarsi le maniche e darsi da fare subito per un domani migliore (chiedo profondamente perdono ai relatori per una semplificazione tanto criminale del loro intervento)
Vabbè, raga. Anche oggi programmino niente male, eh?
Ci vediamo al bar.