L’immagine immaginata delle parole
Settimana scorsa, leggendo “Il Venerdì”, mi sono imbattuto in questa (stranamente) bella immagine del mio amico Mizio Ratti, esplosa a tutta pagina. Ma questa volta non ha fatto niente di male. La colpa è di Pasquale Diaferia, che l’ha inserito nel libro in cui racconta quelli che a suo avviso sono i migliori copywriter viventi. Sotto trovate il punto di vista di Till Neuburg. Io mi limito ad aggiungere un tris di nomi non compresi nell’elenco: Nicola Lampugnani, Cosimo Minervini e Luca Miniero.
E ora vai Till. (m.g.)
Lunedì pomeriggio sono stato a la Feltrinelli di via Manzoni a Milano – per vedere e sentire la presentazione di un libro dal titolo “The headliners – l’immagine delle parole”.
Ho aggiunto “sentire” perché, oltre all’ideatore/autore Pasquale Diaferia del libro e all’editore Salvatore Sagone, hanno parlato anche (i.o.a.) Andrea Concato, Vicky Gitto, Fabio Palombo, Francesco Roccaforte, Sergio Rodriguez, Luca Scotto di Carlo, Gianpietro Vigorelli.
È stato bello. Veramente.
Nessuno ha detto cose ovvie, attese, rituali. Ho sentito solo parole semplici e sincere. Sebbene Diaferia abbia condotto e sollecitato i suoi complici con notevole abilità, sembrava tutto molto real, roba fresca fresca, appena riportata dal fronte. L’unico art director era Vigorelli il quale, da consumato testimone e testimonial del nostro piccolo mondo antico, era il solo a strattonare quelli che vengono, e verranno, dopo la sua generazione. Lui, i newcomer della pubblicità, li vede troppo infossati nel loro mondo, sposati indissolubilmente col computer finché morte non li separi.
Sollecitati a esprimersi sul tipo di pulsioni ed energie che li hanno spinti a diventare “headliner”, quasi tutti hanno sottolineato l’importanza della voglia di raccontare la realtà, di mischiarsi – anche fisicamente – con tutto ciò che ci circonda: luoghi, suoni, cose, persone, rapporti. Se ci avesse sentito chi solitamente ci descrive come bamboccioni della comunicazione glam, avrebbe dovuto rissettare i suoi punti di svista. Dopo quella chiacchierata era chiaro che non siamo né meglio né peggio di chi ci giudica fino al terzo grado della superficialità. Anzi, se fossimo stati sentiti in un talk show, avremmo fatto un figurone. Questa è la mia immodesta, ma serena conclusione.
L’oggetto presentato è un volume di 144 pagine, scritto da 54 copy – nel senso di writer che hanno scelto/praticato/insegnato, appunto, il copywriting. Con una sola eccezione, vi sono entrati esclusivamente dei colleghi in attività. Ciascuno vi dice la sua (o le sue), sul proprio mestiere – e conia per l’occasione una head (tendenzialmente sorridente), che condensa il proprio modo di stravedere per la pubblicità. Ogni profilo è completato da due visual: 1) un unico, ma rappresentativo esempio di lavoro, scelto da lui e 2) una foto-ritratto invece subita, sempre da lui. Gli autori delle immagini sono dieci giovani esploratori che, sotto la guida (per nulla spirituale) di Maurizio Cavalli dell’Istituto Italiano di Fotografia, hanno “rubato l’anima” (cito Sagone) a questi insoliti oggetti-soggetti.
Nel libro, dopo l’introduzione di chi si firma volentieri come “il pasquale con la p minuscola”, tocca alla P maiuscola – nel senso di Pasquale Barbella. Il suo è un ricordo molto intenso su quattro colleghi che non ci sono più: Enzo Baldoni, Marco Mignani, Emanuele Pirella, Marco Vecchia – tutti grandi copy che nel corso di soli sette anni, hanno purtroppo smesso di segnare in modo indelebile la comunicazione nel nostro paese. A sua volta, la tutor più severa e forse più affettuosa di tante cucciolate di copy, Milka Pogliani, anticipa il suo (intenzionalmente breve) pezzo citando Paul Valéry: “Fra due parole, bisogna scegliere la minore”. Infine, Annamaria Testa – una libera professionista “…ma libera veramente” (cit. Finardi), generosa e severa, scafata e sempre nuovamente stupita, femminista e molto femminile, ci racconta in modo insolito che fare la copy è un plot incasinato ma appagante, difficile e rischioso, travisato e seduttivo. Le righe di Annamaria mi fanno venire in mente il nostro “grande vecchio”, Italo Calvino: “La lettura è un atto necessariamente individuale, molto più dello scrivere”.
In coda a questa laudatio sincera e strameritata, ci metto però un però:
Che manchino alcuni copy che da qualche tempo non sono più illuminati dai seguipersone della nostra stampa trade, è naturale: per esempio, Gabriella Ambrosio, Marco Ferri, Anna Montefusco, Gerardo Pavone, Renata Prevost, Roberta Sollazzi, Paolo Torchetti, Nicola Zanardi, sono sempre lì, ma forse hanno trovato anche altri campi da gioco. Perfetto.
Ma ci sono dei colleghi (strenuamente visibili e attivi), che in questo libro non dovevano mancare. Li elenco uno a uno stuzzicando in qualche caso la nostra memoria evidentemente non sempre storica e collettiva:
Carlo Cavallone:
Wieden + Kennedy Amsterdam (Nike, Coca Cola, Pirelli, Heineken… tutto a livelli top)
Alberto Citterio:
Vari Bronzi, Argenti e Ori ADCI
Marco Cremona:
Esperienze in Brasile, USA, Russia. 3 Bronzi, 2 Argenti, 4 Ori, più ben 2 (!) Grand Prix ADCI.
Paolo Guglielmoni:
Epica Gold, Eurobest Gold, NY Festival Gold. ADCI: 1 Argento + 1 Oro.
Antonio Maccario:
70 (settanta!) campagne pubblicate nei vari annual ADCI. 1 Oro a Cannes, 1 altro nell’ADCI, più 7 Argenti. Per tre anni capostruttura Rai. Oggi, founding partner e cd di Arsenale 23.
Alasdhair Macgregor-Hastie:
Esperienze importanti a Milano, Barcellona, Bruxelles, negli USA e ora a Parigi. Ormai, una sorta di guru internazionale dell’automotive. Oro + 9 Argenti + 7 Bronzi ADCI.
Marco Massarotto:
Un copy che aveva scelto con coraggio e lungimiranza di esplorare in modo sempre più convinto e convincente il mondo del digitale e del web. Autore di testi importanti sull’argomento. La sua Hagakure è una delle rare realtà del nostro advertising che assume (e non licenzia) facendo del lavoro di qualità. Le sue parole (scritte e parlate) hanno una valenza importante. Oggi, il buon copywriting è anche questo.
Alessandro Omini:
Nell’ADCI: 6 Ori e 2 (!) Grand Prix.
Stefano Maria Palombi:
Il suo palmarès è impressionante: 15 Bronzi, 20 Argenti, 23 Ori ADCI. Non ha mai preso il Grand Prix perché “ai suoi tempi” semplicemente non c’era ancora. Ha vinto anche Epica, Eurobest, ADC Europe, Cannes. Nonostante la sua lontana separazione dal creative team Saatchi, è ancora molto attivo con la sua Fatal Error per la Chiesa Cattolica i cui contenuti non mi piacciono neanche un po’, ma che dal punto di vista copy e di regia (ormai sempre sua), non eccellono solo per l’execution. Qualcuno lo accusa di aver vinto la maggior parte dei suoi premi nell’area sociale. Oggi, con il gran parlare di etica, impegno e green, non mi sembra un argomento riduttivo. Anzi.
Francesco Simonetti:
Il suo book e reel è veramente molto alto, soprattutto a livello internazionale:
Clio, Cannes, Emmy, Moebius, One Show, ADC New York, Creativity, Creative Society, Boards Magazine, AdForum, Coloribus, Silver Drum Awards, New York Festivals Awards, The Inspiration Room, Welovead, Lürzer’s Archive.
Roberta Sollazzi:
Oro per Copywriting, Oro + Grand Prix ADCI.
Laura Sordi:
6 Bronzi, 8 Argenti e 3 Ori ADCI + 3 Ori ADCI Europe. A livello internazionale, è forse la nostra più apprezzata creativa italiana nell’interattivo. Motivo più che convincente per considerarla una copy e writer italiana dell’innovazione.
Posso immaginare che alcuni di questi colleghi, semplicemente avevano declinato la proposta. Altri erano forse solo incasinati – coi tempi, col lavoro, con sé stessi. Ma che tutti quanti fossero stati belli e impossibili, mi sembra poco probabile. Appare evidente che c’è stato anche uno screening – assolutamente lecito (ci mancherebbe), ma anche un tantino personale.
Che De Rita si sia defilato, non sorprende. In una mail – molto gentile ma duretta, – mi aveva pregato di non mandargli nulla insieme ad altri creativi. Si vede che i creativi come lui non riposano nemmeno durante il Settimo Giorno.
Tornando sul nostro pianeta, l’unico copy che doveva, ma purtroppo obiettivamente non poteva starci, è il nostro inarrivabile Flaiano della pubblicità: Pino Pilla. Gli autori saranno sicuramente d’accordo con me se, in qualche modo, questo mix tra database e National Geographic della scrittura italiana, in gran parte lo considero dedicato anche a lui.
Ricordo con piacere che l’art direction del volume non è stata curata in quel di Milano, ma in terra ghibellina – che ha dato i natali a Caterina Sforza, ad Aurelio Saffi e, ovviamente, al grande Melozzo da Forlì: come sempre, Le Matite Giovanotte impugnate con mano sicura da Barbara Longiardi e Giovanni Pizzigati, hanno fatto un ottimo lavoro. Senza un’art direction adeguata, anche i migliori copy sono solo dei writer. Alé. (Till Neuburg)