Cartolina per Alfredo, Bruno & Donald.
Bruno Ballardini ha rilanciato attraverso un bel pezzo su Il Fatto quotidiano, la lettera di Alfredo Accatino alla comunità dei creativi italiani.
Mi soffermo su un passaggio in particolare, non perché tira in ballo me e l’Adci ma solo in quanto contiene un’affermazione potenzialmente pericolosa per quella che dovrebbe essere una causa comune.
Ha scritto Ballardini, parlando dell’Adci: “Solo con la nuova presidenza di Massimo Guastini si sta tardivamente cercando di porre qualche rimedio. Ma Accatino è brutale: per lui le associazioni di categoria non servono più a niente.”
In realtà ho sostenuto l’idea di Alfredo dal primo momento che l’ha condivisa con me, chiedendomi un parere sul testo della lettera, alcuni giorni prima della pubblicazione.
Il blog Adci è stato il primo a postarla, domenica mattina 23 ottobre. Io e il consiglio direttivo Adci condividiamo gran parte del testo di quella lettera e penso sia più utile trovare le ragioni oggettive che ci possono unire piuttosto che rimarcare teoriche ed eventuali contrapposizioni, laddove non siamo dello stesso avviso. Non ci sono contrapposizioni tra me e Accatino.
Inoltre, sono stato eletto presidente Adci sulla base di un programma che i soci hanno condiviso. Quindi non è Massimo Guastini ma l’Adci che sta cercando di cambiare un certo stato di cose.
Per quanto riguarda il “tardivamente”, sono contrario a questo genere di giudizi. Bruno, scusa la franchezza ma la considero una “gufata” tremenda 😉
“Tardivamente” o “prematuramente” sono avverbi che può permettersi solo lo storico. Vale a dire chi può salire sulla montagna e osservare il corso degli eventi dalla “vetta senno di poi”.
Ma se sei un “creativo” è un pessimo momento per salire sulla montagna. È in corso una battaglia ora. Contro un modo di pensare che si è fatto sistema.
Un sistema che cerca di massimizzare i profitti pagando il meno possibile (o non pagando affatto) i creatori di contenuti. Che anacronisticamente cerca ancora di imporre i contenuti dall’alto, provando a impastoiare internet per sostenere (guarda caso) la TV.
Questo succede a tutti i livelli, non solo pubblicitario, i “creativi” o creatori di contenuti come preferisco definirli io, si sono lasciati ubriacare dagli anni ’80. Ci siamo inebriati di soldi e lusinghe apologetiche. Ci siamo imbolsiti. Il problema non riguarda solo la pubblicità. Ovunque ci sia un’attività che presupponga la creazione di qualche cosa, il timone è quasi sempre in mano a persone che non sanno nemmeno valutare quello che gestiscono e vendono. Spesso ne sono addirittura “gestalticamente” nemici. Succede nel cinema, nella tv, nella musica, persino nel giornalismo. Succede in tutti i settori che hanno a che fare con la creazione di un contenuto. Le rarissime eccezioni hanno di solito successo anche all’estero. A riprova che come creatori non siamo ancora da buttare via. Ma le eccezioni diminuiscono. E se non ci organizziamo e impariamo a difenderci resterà solo l’ordinarietà di una mediocre e cinica tipologia umana. Resteranno in campo solo quelli che non considerano l’accesso ai media una responsabilità sociale ma un potere da sfruttare. Con le conseguenze che, cazzo, ormai dovremmo essere tutti in grado di comprendere.
È in corso una battaglia di liberazione per restituire centralità ai creatori di contenuti. Come in qualunque battaglia, conta l’obiettivo finale verso il quale devono tendere “truppe organizzate” e “irregolari”.
Prima di fonderci e confonderci cerchiamo di capire bene la serie di obiettivi strategici da conquistare. Il primo, inalienabile, è farci pagare per le nostre prestazioni. Sempre.
Non saranno una lettera, un simbolo o una sigla a renderci lobby. Servirà determinazione nel perseguire, compatti, comportamenti virtuosi. Non ci sono altri modi.
Il primo dei comportamenti virtuosi è non accettare di lavorare senza la garanzia di un compenso. Non è professionale.
Questo significa, se si è professionisti, dire “No Grazie” alle gare senza un rimborso adeguato al lavoro richiesto e con un numero di partecipanti elevato.
Il crowdsourcing, per come è praticato da troppi furbetti, è una “incoolata 2.0”
Dobbiamo dire “No Grazie” ai compensi inadeguati all’entità del lavoro richiesto.
Dobbiamo dire “No Grazie” a termini di pagamento sopra i 60 giorni (la media europea è 30)
E “No Grazie” andrebbe detto anche alle richieste che comportano messaggi non etici. L’Adci ha un Manifesto Deontologico, chiunque lo trovi condivisibile è libero di applicarlo.
Iniziamo a condividere uno spazio virtuale, sull’esempio di No!Spec, dove raccontare a chi e perché abbiamo detto “No!Grazie”.
Siamo quasi due milioni? Ma in quanti siamo abbastanza incazzati da dire “No Grazie” ogni volta che andrebbe detto? Scopriamolo.
Al momento, purtroppo, non sappiamo in quanti siamo disposti a fare davvero quello che va fatto.
Suonerà strano ma conosco molti committenti che la pensano come noi. “No! Spec” mi è stato segnalato da uno di questi.
Chiudo con una sollecitazione.
Ieri Bad Avenue ha invitato me e Pino Rozzi a non diventare dei lacchè. Beh, io e Pino di sicuro ci mettiamo la faccia (lingua esclusa) in quello che facciamo.
Donald Draper & CO. perché non lo fate nascere voi uno spazio “No Grazie” (o chiamatelo come preferite)?
Deve essere l’Adci a occuparsi anche di questo? Non è un po’ troppo semplice limitarsi a contro informare?
Io non leccherò gli stivali yankee
Ma voi, cosa siete disposti a fare?
Questa domanda non è rivolta solo all’allegra combriccola di Bad Avenue. Vale anche per Bruno, Alfredo e gli altri due milioni di creativi sparpagliati.
Tanti cari saluti dall’Art Directors Club Italiano.
(massimo guastini)