Il declino delle agenzie… funebri e non
Le dimissioni di Massimo Costa dalla presidenza AssoCom, m’ispirano le più sentite lontananze:
La moria delle specie protette, è inarrestabile.
Per salvare carriere, poltrone e posti, nel business della comunicazione non bastano più i convegni, qualche comunicato stampa o voti e veti incrociati.
Il WWF degli affari tuoi (leggi suoi), sta traslocando nel museo dell’obsolescenza dove conservano il marketing, il primo telefono italiano, lo share, il transatlantico Conte Biancamano, il target e il sottomarino Toti.
Sforziamoci di ricordare:
Una volta, nemmeno mezzo secolo fa, da noi le agenzie cicciose si chiamavano “a servizio completo”. Oltre alle idee, dicevano di fornire anche la pianificazione e il monitoraggio dei media, le ricerche di mercato, gli studi comportamentali, le analisi psicologiche e motivazionali, le pubbliche relazioni, i rapporti con la stampa, il packaging, le produzioni cartacee e audiovisive. Anzi, in origine, in Inghilterra, in Francia, negli USA, non erano nemmeno nate per fornire idee e creatività, ma solo spazi, superfici, colonne… poi anche suoni e secondi; nel migliore (o peggiore) dei casi, la creatività era un optional. Poi, con l’avvento dei heroes della creatività anglosassoni e francesi, le campagne non scaturivano più solo da lampi individuali, ma si muovevano su binari in scala con scritto sopra “Strategia”.
Poi, pian piano, i nostri trenini Assap, FS, Lima, Rivarossi hanno iniziato a perdere i pezzi: la carrozza postale col capotreno, i vagoni letto, la carrozza ristorante, la prima, seconda e terza classe, i comparti fumatori e non-fumatori… tutta roba che oggi non c’è più.
Il modellino italiano “agenzia” è diventato roba vintage. Anche se sopra le scatole ci leggi ancora Märklin, Fleischmann, Faller, Hag, Roco, Trix (come dire, in grande, Union Pacific/Omnicom, Amtrak/Interpublic, British Railways/WPP o SNCF/Publicis), la scala dei suoi binari, già ridotta di suo, è diventata sempre più piccina.
Ora, anche l’ultimo capostazione di questo kit, ha rispedito il suo fischietto a chi gliel’aveva appeso al collo: Sir Martin Sorrell.
Forse le poche agenzie che non sono accostabili al collocamento, alle notizie, all’immobiliare, agli sportelli delle banche e, in primis, ai funerali… sono quelle che potremmo tranquillamente chiamare in altro modo – semplicemente perché i loro modelli non sono modellini in scala gigante, ma persone. Persone creative – non CEO, businessmen, affaristi, terzisti o piazzisti di idee altrui.
Nemmeno dieci anni fa, c’erano ancora l’APP (l’associazione dei produttori di spot) e la AIR3 (i registi pubblicitari). Persino i produttori di radio si erano organizzati e l’ADAP non era ancora solo un listino prezzi degli speaker. Per i designer e gli architetti, il nome ADI non aveva ancora un significato prevalentemente nostalgico, la TP non era ancora in stato comatoso e persino l’AIAP era temporaneamente risorta grazie alla bravura e l’attivismo di Mario Piazza. C’è chi ricorda ancora la FIP, la FIEG, la FederPro (che non c’entrava nulla con la FedEx né con il noto tennista svizzero).
Pensa te: solo un misero lustrino fa, quando capitava di discettare di archeologia industriale, si citavano ancora degli strani acronimi come FIAT, GSM, ASSAP, U-Matic UNICOM e, appunto, la suddetta AssoComunicazione – meglio ignota semplicemente come AssoCom. Di solito, la loro dipartita non è celebrata con funerali sontuosi, a malapena ci va chi aveva partecipato alle gare paralimpide, qualche collezionista di Pagine Gialle e forse i rigattieri di ricerche di mercato e Floppy Disk.
Ora, che anche la Massimo Costa Crociere ha smesso di navigare nelle acque territoriali di Confindustria e dell’UPA, forse il suo armatore di Londra affiderà il comando dell’intera flotta alla Goldman Sachs targata Monti, al misterioso Mister Stramaccioni o al poeta e navigatore Schettino.