“Il coraggio di copiare – I fake, le giurie, gli award e il nostro mestiere”.
Di Davide Boscacci.
Premetto subito che trovo il discorso su giurie e fake noioso almeno quanto la filmografia di Malick proiettata in slowmotion. Però mi serviva un’esca per arrivare da un’altra parte. Colgo l’occasione degli ultimi “scandali” e dell’assemblea del club appena tenutasi per rilanciare una proposta più ampia.
Prima di tutto sono d’accordo: le regole ci devono essere, e chiare. Ma non bastano se non sono inserite in un sistema che porti ad applicarle nel modo corretto. I regolamenti perfetti, si sa, non esistono. Specialmente nel paese delle leggi, delle leggine e delle leggi ad hoc, degli azzeccagarbugli e dei furbetti. Eppure c’è un modo molto semplice per risolvere il problema: copiare. Copiare da chi è più bravo di noi.
Ora, lo so che è un verbo a cui noi pubblicitari siamo allergici ma vi garantisco che in questo caso nessuno ce lo contesterà e potremmo addirittura alla fine vantarcene. Se ci fate caso, praticamente tutti i festival più importanti al mondo funzionano più o meno allo stesso modo. Perché noi dovremmo essere diversi? Copiamo, sant’iddio.
Copiamo i criteri di eleggibilità e le procedure di verifica. Condizione minima per l’eleggibilità è che il lavoro sia esistente, approvato e pianificato in modo coerente (in questo senso la partnership con Nielsen voluta da Guastini è un ottimo strumento e renderà tutto più semplice). Pianificato quante volte? Chi se ne frega! E poi vi dirò il perché.
Copiamo le categorie. Al limite possiamo accorparne alcune se ci sembrano troppe, evitiamo di inventarne di nuove. Tra l’altro ricordiamoci che per le agenzie dover produrre materiali diversi ogni volta per soddisfare i diversi bandi è uno spreco di tempo e risorse enorme.
Copiamo le giurie e le loro regole. Per dire, chi ha un lavoro in concorso esce dalla sala al momento della votazione. Chi ha dubbi sull’eleggibilità di una campagna porta delle prove o richiede una verifica. Ma in assenza di evidenze la campagna va votata senza altri pregiudizi.
Copiamo l’approccio verso i fake. I fake (o meglio gli scam, come vengono chiamati nel resto del mondo), contrariamente a quanto si crede negli ultimi anni non sono ben tollerati dalle giurie. L’idea di premiare un progetto (di qualsiasi genere) per prodotti minuscoli, che non si è mai visto e soprattutto non ha avuto rilevanza nel mercato di riferimento è, semplicemente, mal digerita. Se l’idea è geniale può arrivare forse alla shortlist, forse forse al bronzo. Sopra non si va. E non è una regola scritta, è la linea editoriale del premio data dall’organizzatore al presidente dell’award, fino ai singoli presidenti di giuria e giù a cascata su ogni singolo giurato. È un discorso di “scala”: un lavoro bellissimo ma minuscolo vale meno di un lavoro bello e grande. Semplice. Cosa si intende per grande? Che soddisfi almeno una di queste condizioni: un lavoro che si sia visto eccome, che sia diventato un fenomeno di costume, che abbia svoltato un brand, che abbia generato risultati incredibili, che abbia ridefinito gli standard di comunicazione.
Copiamo (e anche in questo senso qualcosa dallo scorso anno si è mosso) il grande peso dato ai presidenti di giuria. Loro sono i responsabili della qualità del lavoro eletto, nel bene e nel male. Il mio presidente a Cannes (non propriamente l’ultimo dei pirla) era nervosissimo all’idea di premiare lavori di basso profilo o scammy, ancor di più temeva il rischio di escludere qualche perla. E tremava come un bambino alla conferenza stampa o la sera del discorso di premiazione.
E soprattutto, copiamo l’idea di festival. Non dobbiamo e non possiamo più essere un premietto egoriferito e sotterraneo. Dobbiamo essere un festival vero, aperto e visibile. Bastano due giorni, intendiamoci, un weekend. Ma con ospiti, workshop, seminari, giurie in diretta, premiazioni la sera, stand di inserzionisti (perché no?), conferenze stampa. Ah, a pagamento. Una cifra modesta, anche modestissima, ma a pagamento.
Un festival a cui vengono i creativi e i clienti, perché ci parla il creativo di punta italiano o internazionale (magari in prestito da uno dei nostri network) o il direttore marketing più figo del momento o i centri media o fornitori e partner. A cui invitare professionisti, intellettuali e artisti e giornalisti (non solo di settore). E anche semplici curiosi e appassionati.
Fidatevi, in un contesto del genere, sotto gli occhi di tutti, sarebbero per primi i giurati e i presidenti di giuria a voler premiare l’eccellenza e la rilevanza. Le campagnette più o meno finte (contro le quali non ho nulla) verrebbero semplicemente valutate per quello che sono: magari bellissime idee, ma pur sempre campagnette. E se qualcuno sbaglierà, insomma, si tratta pur sempre esseri umani. Finito di parlare di fake si tornerebbe a parlare di quello che conta, in modo più maturo e serio: il nostro mestiere.
Ci vogliono risorse? Sì, forse. Ci vogliono soprattutto persone (ok, io mi candido per dare una mano). Ma è l’unica strada se vogliamo che il mercato si accorga di noi e ci riconosca. A Sipra farebbe schifo? Assocomunicazione o Upa ci snobberebbero? Non ne sarei così convinto.
Chi ci sta?
Davide Boscacci.