Le parole pesano.
Autore Valentina Amenta
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Le parole possono creare mondi meravigliosi. Essere inclusive. Cambiare lo status quo. Fare la rivoluzione. Ma allo stesso tempo possono fare male. Escludere. Insultare. Ferire per sempre.
E in più, oggi più che mai, possono farci immergere in mondi di insulti gratuiti ed etichette stereotipate, che ci restituiscono un’immagine distorta degli altri e di noi stessi.
“The Dark side of Pride” una ricerca condotta dal Gruppo Dentsu attraverso Brandwatch, ci restituisce una fotografia di quello che oggi è l’hate speech online.
Una visione purtroppo oscura della forza distruttiva che possono avere le parole.
Sono state analizzate oltre 280.000 conversazioni contenenti insulti omofobi pubblicati online negli ultimi 4 anni. Ovvero: le parole d’odio più utilizzate in rete contro la comunità LGTBQ+, con un focus particolare sui 20 insulti più frequenti riferiti alla community LGBTQ+, per identificare le distorsioni di pensiero, i bias degli italiani.
Ogni mese, in Italia, la Rete ospita una media di 5.300 insulti, che aumentano del 25% durante il mese del Pride. Si passa dai 5.300 ai 6.600.
Un fenomeno dilagante e da tenere monitorato, sopratutto per noi che facciamo comunicazione e sempre più cerchiamo di promuovere la D&I in ogni ambito del nostro lavoro.
Un fenomeno che non si cancella, anche dopo aver spento un computer e messo in tasca il cellulare. Perché, comprovato dalla realtà, le parole d’odio scritte e lette si sedimentano nella mente, sfociando in atti di prevaricazione e violenza fisica.
“Abbiamo il dovere, come comunicatori, di mostrare tramite l’esempio il peso delle parole nella costruzione dell’identità.” commenta Samanta Giuliani, Executive Strategy Director @ Dentsu Creative “Perché l’identità si costruisce e si demolisce continuamente, ogni giorno, ogni minuto: come agenzie creative, media, aziende e associazioni di settore possiamo – attraverso il nostro lavoro quotidiano – agire per invertire questa tendenza“.