Postato il Lun 18 Giu 2012 da in Riflessioni

Scosse vs Tweet e i veri sciacalli


In questi giorni ho ricevuto diverse email nelle quali mi si chiedeva un parere sulla vicenda raccontata dal sempre ottimo mimimarketing: “scosse vs tweet: quando la creatività è inutile e fine a se stessa”.

È un’operazione evidentemente fallita. Il resto mi pare accanimento da “branco”, aspetto che per indole detesto.
Con l’espressione “accanimento da branco” non mi riferisco ovviamente ai leciti punti di vista espressi da chi si è firmato, ma all’anonimo starnazzare “delle anatre nelle pozzanghere”.

Sono convinto che le intenzioni dietro a questo progetto “abortito” fossero buone, e che fare un “fake”, come lo definiscono impropriamente in molti, fosse l’ultimo pensiero di Luca Lorenzini e Luca Pannese.
Anche perché, in questo genere di operazioni, il termine fake non significa proprio nulla. Si parla di successi o di fallimenti.

Penso che le persone coinvolte siano e restino ottimi professionisti. Trattarli da “sciacalli”, e farlo per lo più mascherati con nomi da bimbominkia, è un autodafé a cui non ho la minima intenzione di prendere parte.
Stiamo tra l’altro parlando dello stesso team che tre mesi fa riceveva complimenti da tutti per il progetto coordown.

I veri sciacalli sono quelli che approfittano delle difficoltà altrui per sfogare in branco i livori accumulati per altri motivi. Presi individualmente non valgono molto più dell’unica cosa che sanno produrre (vedi immagine sopra).

Sono assolutamente convinto che Luca Lorenzini e Luca Pannese abbiano pensato a come essere utili con le armi che conoscono. Non agli eventuali premi. I fatti dicono che hanno sbagliato. Una volta si definivano “esperienze”, “lezioni”. Oggi è più geek parlare di “learning”. Sia come sia, solo chi si mette in gioco e rischia sulla propria pelle, accumula esperienze.

Personalmente avrei consigliato loro di lasciar perdere il monitor nelle piazze. Di trovare un sistema per rendere la partecipazione “utile” a livello concreto. Non c’è creatività se non c’è utilità sociale. L’empatia sarebbe stata la ciliegina ed è comunque più facile da ottenere. Avrei suggerito anche di non rilasciare comunicati che svelassero l’esistenza di un’agenzia dietro.
A distanza di mesi, dimostrata sul campo l’utilità del progetto, avrei postato il case, limitandomi a firmarlo Saatchi&Saatchi. Nel comunicato stampa avrei chiuso affermando che il progetto non sarebbe stato iscritto a nessun premio. Perché nessun premio avrebbe potuto aggiungere valore ai risultati ottenuti.

Ma io scrivo dalla comoda poltrona del “senno di poi”.

Per quanto riguarda il pezzo di minimarketing Gianluca Diegoli, ho solo una critica. Ho trovato gratuita l’affermazione: “Solo in un’agenzia di pubblicità purtroppo può essere partorita un’idea simile”.

Generalizzare è un modo di pensare 1.0 (cit: Mauro Manieri)

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