Postato il Mar 7 Apr 2020 da in #ContinuityADCI Strategy

Covid-19 e buon senso: quando la crisi mette alla prova i Brand

Autrice: Samanta Giuliani

Tempi estremi mettono alla prova moltissimi fenomeni che fino a ieri davamo per scontati. E se è vero per la società, l’economia e la politica, è altrettanto vero per la comunicazione.

Da mesi, una delle buzzword più ricorrenti negli elevator pitch di qualsiasi professionista del nostro settore è stata purpose”. Convincere i brand a individuare il senso della propria esistenza nella società al di là del proprio manifesto obiettivo di business è stata la crociata a cui abbiamo consacrato come professionisti le nostre slide, le nostre case study, i nostri appelli più accorati. 

Nessuno si aspettava che sarebbe arrivato un evento molto più grande di noi a mettere alla prova la nostra capacità e quella dei brand di perseguire nei fatti quel purpose che ci eravamo scelti.

Covid-19 è una delle crisi sistemiche più drammatiche nella nostra storia recente. Ogni brand in quanto azienda ha importanti problemi di business da affrontare in questo momento storico: alcuni settori vivono una frenata considerevole (viaggi, ristorazione, retail) mentre altri esperiscono una crescita sotto steroidi (e-commerce, video-game e streaming, farmaceutiche, food). 

È interessante notare come generalmente per le marche la prima domanda sia stata: continuiamo a comunicare? Se sì, come? 

In questi giorni ha provato a rispondere Machado – Global CMO di Burger King – commentando la campagna Whooper Quarantine appena uscita in Francia: “Se tu stai già facendo qualcosa di concreto per aiutare, probabilmente ti sei guadagnato il diritto di interagire con i tuoi fan attraverso le classiche ads, promozioni e comunicazioni social. E sì, ho detto “probabilmente”. Dipende tutto da che tipo di brand sei, la situazione contingente nel Paese in cui ti muovi, e come si stanno muovendo gli altri player. In questo momento, quello che raccomando è una grande dose di buon senso prima di fare qualunque cosa”. 

Immagine che contiene frigorifero, coperto, aperto, neve

Descrizione generata automaticamente

Quarantine Whooper – campagna di Burger King Francia

Al di là della stampa dedicata al “Whooper della quarantina”, infatti, Burger King sta donando kids’ meals attraverso la sua app mobile, attività utile soprattutto per i genitori per i quali è difficile provvedere ai pasti dei propri figli ora che le scuole sono chiuse. 

Assodato che Burger King France sta già contribuendo su un piano più concreto del semplice advertising, mi è sembrato appropriato continuare l’approccio “fun, entertaining and a bit daring” del brand lanciando la campagna Quarantine Whopper” – ha aggiunto Machado.

Sembra lapalissiano: per guadagnarsi il diritto di parlare in questo contesto, la prima azione è “fare”. Se è vero che i Brand sono proprietà intellettuali intangibili, è altrettanto vero che le aziende sono realtà innestate nel territorio e nella comunità: è un dovere sociale ricordarselo in momenti come questo, che fanno saltare ogni altra regola di marketing. E agire, laddove la situazione economica dell’azienda ce lo consenta, anche senza avere un “purpose” scritto su una slide, anche mettendo in discussione i nostri “territori di marca”.

Non è un caso che le Banche si siano mosse molto bene in questo scenario, donando ingenti somme di denaro (“restituendo”, direbbe qualcuno) e contestualmente virando la comunicazione adv sui propri servizi a distanza, come home banking e consulenza da remoto.

Immagine che contiene fotografia, libro, sedendo, monitor

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Stampa UNICREDIT

Questo non è necessariamente Purpose, ma sicuramente è buon senso e velocità di esecuzione.

Contesti straordinari mettono alla prova le convinzioni e le strategie delle marche, la loro capacità di vedersi e agire come attore partecipe all’interno di un ecosistema reale, che va al di là dei normali “problemi di business”. Davanti a una minaccia di questa entità, i brand devono rifocalizzare le proprie strategie e cambiare i loro mindset. Per esempio, pensando alle persone meno come “consumatori” e più come “cittadini”.  

L’invito a noi come professionisti è per tanto quello di ribaltare per una volta i ruoli: laddove generalmente siamo noi pubblicitari ad essere additati dai clienti come “visionari” rinchiusi nella nostra torre d’avorio, poco interessati all’efficacia delle nostre idee, vestiamo oggi i panni dei Brand Activist, aiutando i nostri clienti a vedere lo scenario vero, reale, umano, in cui ci stiamo muovendo. 

Non è nemmeno più una questione di purpose. Qui si parla di buon senso, per dirla con Machado.

Ma soprattutto non pensiamo che sia banale farci portatori di questo punto di vista.

Sarebbe bello che la prima domanda dei brand e delle agenzie di fronte a crisi come questa fosse sempre: “Cosa posso fare?”.