Postato il Ven 15 Lug 2016 da in La vita del Club

Stefano Guindani: il tamagochi e l’umanità dei ricchi e poveri.

Ho incontrato per la prima volta Stefano Guindani a Venezia in Palazzina G l’anno scorso, durante la 56a Biennale di Venezia, prima di fotografare un red carpet.

Guindani era lì con i capelli rivolti all’indietro e l’aria di chi è abituato a convivere con l’aura moltiplicata delle persone famose per essere famose. Indossava nella penombra un modello di Ray Ban che non avevo mai visto: “Durante il mio ultimo viaggio, ho regalato tutti i miei occhiali ai ragazzi di Haiti, erano entusiasti.”

Stefano Guindani compensa il suo essere fotografo di celebrity scattando immagini e reportage agli ultimi del mondo: è il suo contrappasso fotografico in vita.

A distanza di un anno lo abbiamo Rivisto in Acqua Su Marte, sede dell’Art Directors Club Italiano in occasione dello shooting del Consiglio Direttivo dell’Adci. Appena siamo arrivati ci ha mostrato alcune bellissime immagini catturate durante il viaggio in Islanda da cui era appena tornato. Erano le foto di una sposa che nel giorno del suo matrimonio, con lo strascico bianco, camminava tra blocchi di ghiacci flottanti del Mare del Nord. Dopo due giorni sarebbe stato l’unico fotografo ammesso alla cena di Vanity Fair America in occasione del Festival del Cinema di Cannes. E, dopo ancora, sarebbe andato a Roma a presentare un libro fotografico mastodontico, realizzato in occasione dei 15 anni di Rai Cinema:”Sguardi d’attore”. 353 scatti di attori e registi. Il ricavato andrà in beneficenza per la realizzazione della sala cinematografica al Policlinico Gemelli.

Dopo averci fotografato gli ho rivolto alcune domande. La prima delle quali: “Tu vivi una sorta di altalena tra estremi perché continuamente fotografi le persone più ricche e famose del mondo per poi portarti tra gli ultimi e restituirci ritratti altrettanto intensi. Che cosa si prova a questi due estremi dell’umanità?”

SG:
Sopporto l’abisso che li separa perché mi aiuta a capire la fortuna che ho. Lavorare coi più poveri mi aiuta a comprendere quanto siamo fortunati a far parte di quella piccolissima percentuale di persone che godono di privilegi e servizi inimmaginabili nel resto del mondo. Ad Haiti ho visto persone abbandonare i propri cari morenti per strada, non per cattiveria ma perché per loro era un costo insostenibile seppellirli. Questo è l’apice negativo ma sono tanti i popoli che ho visto vivere in povertà in America Latina, Centroamerica, India, Russia, Cina.

Poter lavorare con i ricchi e i poveri è un privilegio: perché è un privilegio scoprire l’umanità in tutti e due i casi. Si tende a darla per scontata nelle persone fortunate, dovrebbe essere una forma di gratitudine. Ma una delle più grandi emozioni che ho provato è stato fotografare un ragazzino di 18 anni, orfano dall’età di dodici, con 4 fratelli a carico di cui due con problemi mentali. Gli ho chiesto “Sei incazzato con la vita?” “Se non è difficile non è vita”mi ha riposto. Con me c’era mia figlia ad ascoltarlo.

Io spero che il governo italiano approvi la legge per cui gli studenti ottengano dei crediti se vanno a fare volontariato, come succede in America. Questa è un’esperienza di alto valore formativo: ragazzi che hanno lavorato a scopi umanitari per aiutare persone in difficoltà ci tornano tutti gli anni e se gli parli di vacanze nel villaggio turistico ti ridono in faccia. E lo stesso che penso io quando qualcuno mi racconta che è stato a santo Domingo. Gli chiedo se ha visto le piantagioni di riso, la vita nelle capanne dei villaggi e li sento rispondere. “Hanno detto che non potevo uscire dal villaggio perché pericoloso”. Mi verrebbe da dirgli stattene in Sardegna allora.

Come sta cambiando il tuo lavoro?

SG:
Siamo in un periodo di trasformazione. Le foto 15 anni fa servivano principalmente per i settimanali, oggi sono per lo più per i social media. Sta cambiando tutto in maniera veloce. Questo è un momento cruciale. Vedo persone che prima avevano problemi a farsi fotografare che postano autonomamente sul proprio profilo o girano con un fotografo che lo cura. Ero con una persona molto importante e invidiava il mio numero di follower e mi chiedeva un progetto per arricchire di contenuti la propria pagina. A me è venuto in mente il tamagochi. Il pulcino non esisteva ma dovevi dargli da mangiare, perché a suo modo era vivo e aveva necessità come biologiche. Oggi più fai crescere i follower più diventi appetibile per il marketing.

E come sta cambiando la celebrità?

SG:
Sempre di più il nostro lavoro consiste nel creare la celebrità ideando dei progetti. Noi fotografi presentiamo dei Power Point proprio come fate voi. Con un’idea crossmediale e uno storytelling da seguire.

E’ difficile per noi fotografi, più di quanto lo sia per voi passare a questo paradigma. Oggi poi viviamo un drastico abbattimento dei prezzi.

Un animale da red carpet?

SG:
Ho appena realizzato un progetto per Rai Cinema fotografando oltre 350 tra attori e registi.

Mi viene in mente Rocco Papaleo. E’ un istrione. E poi ho atteso molto Toni Servillo. Dicevano fosse antipatico, a me è parso un vero signore.