Postato il Lun 17 Set 2012 da in #Tutte le NewsLa vita del Club

Cos’è l’Art Directors Club Italiano e a cosa serve.

Il 29 settembre 2012 ci sarà un’Assemblea Ordinaria Generale dei Soci dell’Art Directors Club Italiano (ore 10.30 in Hdemia), nel corso della quale io e tutto il Consiglio Direttivo Adci presenteremo le nostre dimissioni, con 18 mesi di anticipo rispetto alla scadenza prevista dal nostro mandato. Quello stesso giorno ci ricandideremo, dopo avere spiegato nuovamente gli obiettivi che ci ripromettiamo di perseguire e il supporto che ci aspettiamo dai soci.

Per rendere possibile la discussione anche a chi il 29 settembre non potrà partecipare, ho deciso di pubblicare una serie di post che si propongono di rispondere a domande secondo me cruciali:
-cosa è e a cosa serve l’Adci
perché farne parte (e i Soci che servono all’Adci)
i Soci che non servono all’Adci
qual è la funzione degli Adci Awards e dell’Annual
perché l’Adci non può e non deve essere solo un premio e un Annual
perché i cosiddetti “fake” minano la credibilità dell’Adci
perché scompariremo come associazione se rimaniamo un circoletto chiuso
-perché queste dimissioni


Cosa è e a cosa serve l’Adci?

“Fra trent’anni l’Italia non sarà come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la TV”.

(Ennio Flaiano)

“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”

(Gandhi)

Non prendo casualmente queste due citazioni dall’ultimo capitolo de “La trama lucente”, libro di Annamaria Testa che invito a leggere (e rileggere)
Io mi sono iscritto all’Art Directors Club Italiano, circa quindici anni fa, perché condividevo la visione racchiusa in quello che il nostro Statuto definisce obiettivo primario del Club:

migliorare gli standard della creatività nel campo della comunicazione e delle discipline ad essa collegate. Promuovere la consapevolezza dell’importanza di questi standard all’interno della comunità aziendale, istituzionale e del pubblico in genere, in Italia e all’estero.

“Promuovere la consapevolezza dell’importanza di questi standard” significa ricordare (e non solo tra soci) che “tutti noi che per mestiere usiamo i mass media contribuiamo a forgiare la società. Possiamo renderla più volgare. Più triviale. O aiutarla a salire di un gradino”.

So che alcuni, soci Adci e non, tendono a considerare la pubblicità solo uno “specchio della società”. Non è così.

L’interazione tra l’inquinamento cognitivo mediatico e il depauperamento valoriale di una società è, parafrasando Gregory Bateson, un esempio di coinvoluzione: un fenomeno che si verifica quando l’involuzione del fattore A favorisce l’involuzione del fattore B che a sua volta favorisce l’ulteriore involuzione di A, e così via.

Relegarci con rassegnazione in una posizione deresponsabilizzante (siamo solo effetto e non causa) ci ha emarginati in un ghetto socialmente equivoco.

Ci ha privati del nostro ruolo di operatori culturali, ruolo che in passato ci era riconosciuto da “intellettuali del calibro di Eco, quando ci chiedevano di scendere in campo e partecipare alla battaglia sul divorzio o sull’aborto, a temi di rilevanza assoluta per la società civile”, come ricordavo già nel mio programma di candidatura (gennaio 2011).

Oggi non ci chiamerebbero. Siamo guardati con sospetto, nella migliore delle ipotesi.

Recentemente, l’avrete letta, è nata una polemica intorno a questo annuncio.

Non sto nemmeno a indicarvi i vari commenti di blogger e utenti sui “soliti pubblicitari”. Trovo ancora più tragicamente emblematiche queste frasi di un giornalista:

Uno slogan ad effetto, quello dell’immagine pubblicitaria dell’azienda fornitrice della linea adsl, ancor più se allegato all’immagine di una bella donna in bikini.
Un gioco di parole diretto e capace di catturare l’attenzione, secondo la ferrea legge che recita: “Il sesso, in pubblicità, vende”. Tutto regolare, tutto entro i limiti della decenza.

Tutto regolare “stocazzo”, secondo me.

Il nostro Statuto ci indica, da oltre 25 anni e sin dalla prima pagina, quella che oltre a essere la nostra responsabilità, può e deve essere anche la nostra funzione sociale. Ciò che può renderci necessari. E quindi utili.
Possiamo essere l’unica associazione che persegue, nei fatti, una visione etica della comunicazione, sforzandoci di identificare e premiare (Adci Awards) i modelli virtuosi, per mostrare a chiunque abbia accesso ai media che un altro mondo è possibile. A cominciare dalla pubblicità. Perché nessuna legge, o ricerca seria, ha mai decretato che debba essere necessariamente brutta, idiota e disonesta come quella in cui ci si imbatte sin troppo spesso.

Che la Stampa arrivi a considerare “tutto regolare” un annuncio come “la diamo a tutti” ci indica che siamo molto lontani dall’avere anche solo sfiorato il nostro obiettivo primario, benché lo si persegua dal 1985 e malgrado gli oltre 25 Annual pubblicati. E ci spiega anche il perché Oliviero Toscani e persino Silvio Berlusconi vengano considerati, da giornalisti e persino politici, nostri colleghi (più bravi).

Ignoro quale dei 40 “padri e madri fondatori” dell’Adci abbia scelto determinate parole per illustrare il nostro obiettivo primario. Ma considero quelle parole la nostra ragione di esistere.
E sono l’unica ragione per cui sono rimasto socio del Club, fino a candidarmi alla presidenza Adci, nel momento in cui mi pareva che quelle parole non fossero più tradotte in fatti.

L’Assemblea del 29 settembre l’ho convocata anche per questo. Ho bisogno di comprendere se per la maggioranza dei Soci sono solo parole che hanno perso significato.

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