Piangere al telefono. L’aspetto “tennico” della crisi della pubblicità classica

Imprescindibile strumento di lavoro dei manager

C’è una considerazione storica sulla crisi della pubblicità classica che, secondo me, dipende anche dalla semplice evoluzione tecnica. Io ho iniziato a lavorare alla fine negli anni settanta, appena uscito dal liceo artistico e ho visto le agenzie pubblicitarie degli anni d’oro, gli anni ottanta, epoca in cui peraltro si rimpiangeva la precedente età d’oro: i primi tempi di Carosello :-).

Negli anni 60 e 70 del secolo scorso gli spot potevano essere visti solo in proiezione o alla moviola. Le agenzie pubblicitarie di una certa dimensione avevano entrambe, mentre quasi nessuna azienda aveva sala di proiezione o moviola in casa. Vedere il nuovo Carosello era un rito hi-tech che poteva svolgersi solo presso l’agenzia o, se l’agenzia era piccola, presso la casa di produzione.

Con l’arrivo della videoregistrazione le cose sono rimaste analoghe per molto tempo: i videoregistratori professionali in formato U-Matic costavano milioni di lire, e altrettanto costavano i grandi televisori con enormi tubi catodici presenti nelle sale riunioni delle agenzie. Per capirsi, per vedere uno spot occorreva un’attrezzatura professionale del costo equivalente a diecimila, ventimila euro di oggi. Anche in questo caso poche aziendedisponevano di quell’attrezzatura, perché difficilmente ne avrebbero giustificato l’acquisto.

Quando bisognava discutere della nuova campagna, gli alti dirigenti dell’azienda cliente prendevano il taxi (o si sobbarcavano il viaggio fino a Milano, Torino o Roma) per venire in agenzia. Era anche normale che Amministratori Delegati di multinazionali scambiassero il biglietto da visita con giovani art director o giovani copywriter, se questi erano coinvolti nella campagna. Lo status dei creativi era molto elevato, anche se la situazione tutt’altro che ideale, diversa dai ricordi dei nostalgici: gli account executive che tornavano dalla riunione dicendo “il cliente ha detto…” esistevano già allora.

E-mail ed Mpeg invece di moviola e videoregistratore.

Da metà degli anni Novanta, tecnologicamente è cambiato tutto. Oggi per presentare un film basta inviare un’e-mail con un filmato in formato Mpeg in allegato. Il messaggio può circolare in azienda ed essere commentato da chiunque lo riceva. Le richieste di modifica e le modifiche stesse possono essere fatte e rifatte via e-mail, in certi casi con l’aspettativa che possano essere eseguite in poche ore.

La risposta a questa evoluzione tecnologica, a mio parere, non è rimpiangere il piccolo mondo antico, bensì abbracciare l’innovazione per coglierne i lati positivi. Ad esempio, oggi, l’integrazione fra tv, comunicazione e social media.

I dirigenti del Piccolo Mondo Antico

L’errore storico della maggioranza dei dirigenti d’agenzia (management e direzioni creative), invece è stato remare contro e cercare insistentemente di mantenere lo status quo, errore che in molti casi persiste tuttora. La diffidenza nei confronti delle novità tecniche e tecnologiche è insita nel codice genetico degli italiani (e infatti siamo in ritardo rispetto all’Europa nella diffusione di Internet tanto nelle aziende quanto fra le famiglie), e ancor di più nelle classi dirigenti, costituite, nel caso della pubblicità italiana, dai capi d’agenzia e dalle direzioni creative. Mi ricordo bene che negli anni Novanta, quando parlavo di e-mail e Internet, mi si opponeva l’argomentazione che per comunicare esistevano già il fax e il telefono. In questi anni (anche recentemente) quando parlo di Facebook e di Twitter mi oppongono l’obiezione che esiste l’e-mail.  Mi ricordo anche le polemiche di retroguardia sul computer che uccideva la creatività e il pensiero strategico rispetto a carta e matita. Sì, certo.

Responsabilità. Alcune sono precise e facilmente individuabili.

Ovviamente la crisi della pubblicità classica e della tv generalista dipende anche da cause globali al di fuori del controllo di chiunque. Però, almeno in parte, i problemi che affliggono la pubblicità italiana sono facilmente individuabili: la pervicace, tenace e in certi casi orgogliosa resistenza all’innovazione da parte della gran parte dei suoi dirigenti, resistenza condivisa spesso anche dalle aziende italiane. La nozione, sbagliata, per cui gli aspetti “tennici” sono roba secondaria, le tecnologie non fanno parte della cultura di base e la persona elegante non si sporca le mani.

Prove a carico? Basta guardare le presenze online di UPA Utenti Pubblicitari Associati e Assocomunicazione. Sono forse all’avanguardia della cultura di comunicazione online? È possibile contattare gli alti dirigenti di agenzie e aziende via Facebook? Se gli mandi un’e-mail ti rispondono o hanno qualcuno che risponde? Quanti hanno una presenza con Google+? Quanti sono gli Amministratori Delegati italiani presenti su Twitter o con un blog personale?

Se la risposte, nel 2011, sono “no”, “raramente” e “pochissimi”, allora c’è una larga percentuale di alti dirigenti italiani che, come un vecchio ex presidente del consiglio allergico alle intercettazioni, perde troppo tempo al telefono.

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